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Noi Scopriamo Talenti / We Discover Talents
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Capire il problema dell’America e mantenere la convergenza euroamericana


Da 25 anni Washington tenta una nuova Grand Strategy senza risultato. Ciò, al netto di uno stile personale molto nervoso di Donald Trump, mostra che l’America ha un problema reale ed irrisolto e che l’Ue dovrebbe capirlo meglio e prendere una postura adeguata di riconvergenza e non divergenza con l’America stessa.
Nell’anno 2000 su Foreign Affairs Condolezza Rice elaborò la Dottrina dell’interesse nazionale contrapposta a quella globalista sostenuta, ai tempi, dal Partito democratico. Il concetto base fu che l’America voleva restare prima potenza mondiale, ma riducendo i costi imperiali ormai insostenibili scaricandoli sugli alleati affinché investissero più risorse per la loro sicurezza regionale, mantenendo l’America stessa un ombrello indiretto per la loro difesa e l’impegno di ingaggio diretto in caso di rischio per propri interessi vitali.

Questa dottrina repubblicana ha trovato poi convergenza con quella democratica elaborata dall’Amministrazione Obama: lead from behind (guidare da dietro) combinata con un tentativo di rendere simmetrici gli scambi commerciali tra America ed alleati per ridurre il deficit statunitense. Va annotata una convergenza tra democratici e repubblicani sul fatto che l’America non può più reggere né il ruolo di importatore senza reciprocità né quello di poliziotto unico del pianeta. La seconda Amministrazione Trump sta attuando con più decisione questa dottrina. Quando nel 2002 insegnavo negli Stati Uniti fui incluso in seminari informali organizzati dall’ufficio del Vicepresidente Dick Cheney sul tema di “quale configurazione per l’impero americano?”.

Raccomandai una strutturazione più forte del G7 (allora G8) per integrare la scala cedente degli Stati Uniti. Ma quando presentai tale concetto a Washington nel libro “The Grand Alliance” (2007) trovai consenso a porte chiuse, ma la non disponibilità dei politici statunitensi presenti a comunicarlo ad un elettorato “eccezionalista” non disposto a cedere sovranità ad alleanze strutturate/condizionanti. Oggi vedo continuità di questa situazione: un impero che non regge i costi, ma che vuole restare tale facendoli pagare ad altri.
Scenario. L’attacco verbale all’Europa ha come sottostante la paura che nel futuro l’Ue diventi più grande degli Usa rendendoli potenza laterale non globalmente centrale.

Tale vettore probabilistico è da tempo studiato dal mio gruppo di ricerca euroamericano innescando un’analisi di destino che è in corso: chi sarà il successore dell’impero statunitense? La risposta, al momento, è che dovrà avere formato multinazionale, cioè un’alleanza, perché – escludendo un G2 sino/americano - non c’è più un successore nazionale sufficientemente grande come lo fu l’America nei confronti dell’impero britannico.
Alleanza tra chi? Sul punto l’interesse geoeconomico prevalente del mondo delle democrazie è un’alleanza tra democrazie stesse e nazioni compatibili, cioè un G7+.


Non solo la politica, ma anche gli attori finanziari tendono ad avere questa posizione: prova ne è che i fondi di investimento statunitensi stanno aumentando il loro interesse per l’area europea. Questi brevi cenni portano alla seguente raccomandazione ai governi europei: non sovrareagire nelle contingenze al nervosismo di Trump, mantenendo un atteggiamento negoziale collaborativo perché nel futuro è più probabile che l’America ritroverà una strategia collaborativa con gli alleati in quanto non potrà rinunciarvi.