Fino a non poco tempo fa un troll abitava sullʼisola di Mikines. Durante lʼestate si nascondeva tra le nebbie delle sommità più alte, dove raramente i turisti si avventuravano e gli uccelli depositavano copiosamente le proprie gustosissime uova. Durante lʼinverno si rifugiava nel faro dello scoglio vicino, cibandosi del pesce che offriva il mare e delle capre in cerca di foraggio. Raramente i forestieri vi si avventuravano in quella stagione, quasi priva di sole e più fredda, umida e ventosa che lʼestate. Se però un escursionista capitava uno sotto le mani del troll, questi prima lo stritolava con le braccia possenti, poi gli staccava la testa dal resto del corpo, infine ne appendeva i resti nel soggiorno del faro.
Trovava che rompessero la monotonia dellʼaustero arredamento e, una volta che la carne fermentava, poteva cibarsene senza timore dei batteri che costoro potevano portarsi addosso da chissà quale remota località. Nessuno si lamentò mai delle persone scomparse, trattandosi solitamente di individui singolari, poco propensi a costruirsi una vita sociale. Donne divorziate e intenzionate a rimaner tali, figli unici di secondo e terzo letto, e via dicendo.
Uno di questi inverni vi passarono però tre fratelli siciliani, figli di un nobile barone dallʼantico lignaggio. Per preservare il castello avito, egli vi aveva aperto un agriturismo e inviato i rampolli in giro per il mondo a istruirsi e cercare nuove idee per lʼattività famigliare. I tre, giunti allʼarcipelago delle Faroe per acquistare alghe, aringhe e salmone, furono attratti dalla luce proveniente dal faro.
Incuranti delle intemperie scarpinarono colà, senza dir nulla ad alcuno.
Bussarono alla porticina quando incrociarono gli occhi selvaggi del troll. Eppure non cercarono di fuggire. Carmine, il maggiore, che era anche il più spavaldo, disse: “Io ho studiato management dʼimpresa e passato cinque anni a Milano.
Lasciate a me quel plebeo e lo sottometterò in un lampo”. Il troll fu più veloce e in un istante gli staccò il capo dal collo. I resti gocciolanti di sangue del fratello maggiore giacevano sul sentiero. Agnello, il secondo, il più sornione, ma altrettanto sicuro di se, disse: “A Milano lavorano troppo e si fondono il cervello.
Io ho studiato relazioni interanzionali e vissuto le notti romane. Deve ancora nascere il coatto che riesce a mettermi le mani in faccia”. Detto ciò il troll gli fu addosso e il suo corpo decapitato, grondante di sangue, giacque a fianco di quello del fratello. “Sii rapido come facisti con i miei fratelli”, disse Turi, il minore, che non era mai uscito dal feudo di L. per stare a fianco al padre e
sovrintendere alla coltivazione dei campi, “Se mi risparmierai ti porterò lontano da questa terra gelida e ti condurrò con me sullʼisola dove gli aranci sono in fiore e lʼaria profuma delle zagare”. Il troll, che aveva suscitato ribrezzo in tutti coloro che lo avevano finora incontrato, si stupì di quel ragazzo scuro e minuto che con lui parlava con tanta franchezza: lo avrebbe desiderato seco e per
giunta parlava con la cantilena che accomuna gli isolani! Il mostro non conosceva le lumie e mai aveva assaggiato i fichi dʼindia, ma si convinse che lʼisola del moretto non gli avrebbe offerto una peggiore sistemazione di quella di cui godeva a Mikines. “Essia ragazzo, ti seguirò! E se tuo padre è il signore di quelle terre saprò servirlo. Vieni con me e siedi su queste pelli di capra. Al mio fischio ci condurranno dove indicherai”. In un lampo le irte scogliere di Mikines scomparvero per lasciar posto agli scogli soleggiati del Mediterraneo.
Il vecchio barone corse incontro al figlio, emozionato quanto preoccupato per la sorte degli altri due. Quando Turi, questi il nome del giovane, gli raccontò come fosse andata e gli presentò Thor, questo il nome del troll, il Barone sospirò. “Era destino”, aggiunse e di più non si lamentò. Il gentiluomo aveva ben altri grattacapi. Il castello avito andava ristrutturo al più presto e di denaro ne era
rimasto ben poco.
Come promesso il troll si rese utile a coltivare i campi e spostare le pietre, stando ben attento a non incrociare gli ospiti e non far loro alcun male, ma il Barone non era mai contento. Vedeva prossima la propria fine e, con essa, quella del casato. Una sera, nella sala principale del maniero, quella un tempo adusa ad amministrar la giustizia e somministrar la decollazione ai saracini, lʼattempato aristocratico guardò Turi fisso negli occhi e, perentorio, gli consigliò di trovarsi moglie. „Il mio tempo è prossimo alla fine“, soggiunse il vecchio per sigillare cupamente il proprio volere. Turi ne fu dispiaciuto, perché aveva sempre ottenuto scarso successo con le fanciulle, ma gli occhi di Thor brillarono perché sapeva che il suo merito di fronte al padrone sarebbe accresciuto. Il troll, cui non erano sfuggite le usanze del mondo civile, disse a Turi di iscriversi a una gara sportiva, purché aperta ad ambo i sessi. Turi, che fino ad allora si era limitato a tuffarsi in mare per pescare i polipi da offrire agli ospiti, non ne fu entusiasta, ma, spronato dal cipiglio paterno, come se lui fosse divenuto il servo, obbedì.
Il ragazzo venne a sapere dal Giornale di Sicilia che a Catania si disputava una gara di atletica, aperta ad atleti maschi e femmine. Si iscrisse e si mise in cammino. Per lʼoccasione il Barone gli donò una camiciola della banda municipale sulla quale erano decorate le armi del casato. Turi si sentiva buffo, avrebbe preferito le tute di seconda mano lasciate dai fratelli, acquistate nei grandi magazzini di Roma e Milano, ma intimorito dal cipiglio paterno, ubbidì.
Giunto al torneo, il baronetto si cimentò nel salto in alto, nella corsa e nel salto in lungo. In ogni prova non ebbe difficoltà a ottenere la vittoria, giacché Thor si rendeva invisibile e lo aiutava nel cimento, sospingendolo per le braccia e per i piedi. Oltre alla medaglia, Turi ricevette lʼattenzione di una giovane e bella campionessa di nome Fatima, la pelle color dellʼambra gli occhi scuri come la
notte. Lei lo avvicinò, lo invitò fuori e, non senza lʼintervento della magia del troll, gli chiese di sposarla. Tornati ognuno alle proprie case, non passò una settimana che Fatima si recò in visita a Turi. Era però angustiata, perché Ahmed, il padre di lei, proprietario di un negozietto di frutta e verdura alla periferia di Roma, era maomettano e non voleva che la figlia impalmasse un infedele. Thor, commosso dalla tristezza del padrone, chiese di condurre Ahmed, con un inganno, sopra le pelli magiche. Lʼavrebbe portato seco su Mikines dove gli sarebbe stato facile staccargli la testa dal collo. Fatima, alla gioia di diventar baronessa, acconsentì. Così avvenne e, con le lacrime versate da padre e figlia, Fatima fu battezzata nel nome di Conversa. La domenica seguente Conversa sposò Turi e, velocizzate le pratiche per la morte presunta del padre, con il denaro ereditato fu possibile ristrutturare il vecchio cascinale della tenuta. Non solo la figlia del fruttivendolo divenne baronessa, ma poteva far vanto di esser comproprietaria di una dimora storica.
La tenuta continuava però ad abbisognare di un restauro e di soldi il Barone non ne aveva che per comprare il necessario a sopravvivere. Una sera, nella sala principale del maniero, nei secoli addietro teatro di abiure e decollamenti, il Barone consigliò a Turi di sbarazzarsi della moglie e trovarne una più ricca. Il ragazzo, che amava sinceramente Conversa, se ne spiacque, ma temeva il cipiglio del padre ed acconsentì. Trascinata con un inganno sulle pelli magiche, Thor portò con se Conversa fino al faro di Mikines e costei seguì la sorte di Ahmed, di Carmine e di Agnello. Turi consultò nuovamente Il Giornale di Sicilia, scoprì che a Messina si teneva una gara di nuoto, maschile e femminile, si iscrisse e, sempre indossando la camiciola della banda municipale, vi si avviò per gareggiare. Turi era un abile nuotatore, ma Thor, resosi invisibile, non gli fece mancare il proprio aiuto. Tirato per le braccia e per le gambe, Turi fu il più veloce, conquistò la vittoria e gli occhi di Libera, una bella concorrente dai boccoli rossi e dagli occhi verdi. Turi se ne innamorò allʼistante e altrettanto velocemente ottenne il suo cuore. Dopo una settimana Libera si presentò alla tenuta in Sicilia, non meno rattristata di quanto lo fosse Fatima prima della conversione. Gagarin, il padre di lei, tesoriere di una cooperativa di Empoli, non le avrebbe mai acconsentito di impalmare la figlia di un padrone, per di più di sangue nobile e con rito religioso. Turi non rifiutò lʼaiuto di Thor e Libera, allʼidea di diventar baronessa e padrona lei stessa, diede del proprio meglio per trascinare il padre nella trappola del troll. La testa di Gagarin ciondolò nel faro dellʼisola di Mikines, a fianco a quella di Conversa, Ahmed, Carmine e Agnello.
Anche Libera fu battezzata, col nome di Redenta. Con il denaro ereditato le fu possibile ristrutturare la vecchia torre, già adibita ad alloggio per gli ospiti, e diventar comproprietaria di una dimora storica.
Il Barone aveva però ancora bisogno di soldi, questa volta per la struttura principale, dove un tempo si ardevano gli eretici, decapitavano i saracini e si praticava la giustizia. Thor si sbarazzò di Redenta, il cui bel viso si trovò a fianco di quello di Gagarin, Conversa, Ahmed, Carmine e Agnello. Come ormai di consuetudine, Turi sfogliò Il Giornale di Sicilia e venne a sapere di una gara di
dressage che si teneva a Palermo, aperta a maschi e femmine. Il ragazzo si rassegnò a indossare per lʼennesima volta la divisa della banda municipale e, accompagnato dal fido Thor, si mise in cammino. La vittoria gli arrise per la terza volta e per la terza volta conquistò il cuore della concorrente più bella, Mariateresa, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Dopo una settimana la ragazza si presentò alla tenuta del Barone, radiosa allʼidea di potersi maritare con un nobile siciliano. Non meno entusiasta del padre Italo, un facoltoso industriale di Monza che di più per la propria figlia non avrebbe potuto desiderare. Italo si offerse di partecipare a tutte le spese necessarie per trasformare la tenuta in un moderno resort e, se richiesto, avrebbe potuto provvedere anche al mobilio.
Italo, che come Ahmed e Gagarin era rimasto vedovo, si accompagnava però con una giovane fidanzata dellʼetà di Mariateresa. Il vecchio Barone, esperto delle cose del mondo, per evitar sorprese spiacevoli, ricorse nuovamente allʼintervento del troll. Italo, che condivideva i timori dellʼanziano gentiluomo, acconsentì alla dipartita dellʼamante. Thor la condusse con se al faro e le spezzò il collo. Il sole della Sicilia, il profumo delle zagare e degli aranci in fiore, tanti matrimoni e tanto odor di acqua santa gli avevano però reso lʼanimo del troll più sensibile e, alla vista di Redenta, Gagarin, Conversa, Ahmed, Carmine e Agnello, il mostro si commosse. Thor usò allora il sangue della fanciulla per produrre una colla con cui riaggiustare i corpi martoriati, ma non ancora decomposti. Poi vi sparse le proprie lacrime e questi ripresero vita.
Al ritorno fu un ben discutere. Dapprima il Barone abbracciò lieto i propri figli, ma si dovette anche ragionare sui matrimoni già celebrati e le eredità ormai consumate. Il Barone aveva però tre figlie, Assunta, Immacolata e Addolorata, che finora non abbiamo citato perché tale era la loro modestia che si aggiravano per la tenuta solo quando eran certe di non esser viste. Eppur eran belle come la Trinacria che aveva dato loro i natali. Gagarin e Ahmed non esitarono a prender la mano delle prime due, ed anzi si fecero battezzare loro stessi affinché le nozze fossero celebrate senza il cipiglio del barone. Gagarin divenne Sulpicio e Ahmed Seviziano, perché quelli erano i nomi dei santi del giorno. Le eredità dei due furon restituite con le doti di Assunta e Immacolata sotto forma di quote di proprietà del maniero. Italo, commosso dalla tristezza di Addolorata, lasciò senza rimpianti la giovane amante e, a sua volta, si risposò. A Thor, che aveva reso un encomiabile servigio, ma ormai aveva nostalgia della
terra natia, fu concesso di ritornare allʼisola di Mikines, portandosi dietro, come ricompensa, lʼappariscente ex fidanzata di Italo.
Tutti vissero felici e contenti fino al giorno predestinato e si dice che i discendenti di Turi, Carmine e Agnello dimorino ancora nella magione avita, circondata da moderne attrezzature turistiche di cui loro stessi sono i soci unici. Il nome della casa compare ogni anno sullʼelenco stilato da Forbes, tra le famiglie più facoltose del pianeta, ma per discrezione preferiamo rispettare illoro segreto.