per il volume a cura di Edoardo Boria per la collana della rivista Gnosis
Il concetto di «geostoria», coniato nel 1942 da Fernand Braudel (1902-1985), non ha avuto origine solo dalla sua passione per le scienze sociali e la geografia e dalla profonda padronanza delle «scuole» geografiche francese e tedesca 1 , ma anche da un più diretto confronto con la «Geopolitik» tedesca, avvenuto durante la prima fase della sua prigionia di guerra a Magonza, dove poté svolgere conferenze ai commilitoni e leggere libri prestati dalla biblioteca locale; esperienza poi rielaborata in un libro iniziato due anni dopo al campo di Lubecca, ma di cui è rimasto un solo quaderno contenente la prefazione e i primi tre dei sei capitoli previsti. Opera poi trascurata dall’autore, e pubblicata postuma dalla vedova solo nel 1997 2.
Sotto l’effimero «strato evenemenziale» – improvvisa Braudel nel secondo capitolo della sua incompiuta rielaborazione delle conferenze di Magonza – la storia «profonda» si può cogliere solo «illuminando il sociale, il passato, la vita con proiettori di colori diversi», ciascuno dei quali fa emergere fattori tra loro largamente indipendenti («geografia, civiltà, razza, struttura sociale, economia e politica»). La metafora dei proiettori va corretta, perché è lo spettroscopio che isola e ordina i colori scomponendo la luce; ma è comunque intrigante questa idea di scomporre la storia in fattori e disporli sullo spettro storiografico in base alla diversa «velocità» con cui si lasciano modificare dallo scorrere del tempo. Tutti, certo, parimente importanti: ma «riconoscere una priorità assoluta» ai tre più veloci (società economia, politica) significa «arrendersi a poteri ostili, come sappiamo bene» [qui il conferenziere sta confortando gli uditori avviliti o rassegnati dalle notizie delle «evenemenziali» vittorie tedesche]3.
All’estremo opposto, il condizionamento esercitato dai «fattori fisici e biologici» sulla «vita sociale» è invece «ricco di invarianze, di immobilità, diciamo pure di ripetizioni: è una storia che sta ferma o che si muove ben poco». Braudel propone di chiamarlo «geostoria», neologismo «poco armonioso», ma preferibile a «geografia storica» (screditato dall’uso riduttivo fattone dai manuali scolastici) e a «geopolitica». Quest’ultimo viene scartato sol perché pone l’enfasi sullo stato anziché sulla società: ma lo storico della «lunga durata» sottolinea l’equivalenza della «sua» geostoria con l’apprezzata idea haushoferiana che «lo spazio è più importante del tempo»4.
Ancor più ampio, nel terzo e ultimo capitolo, il riferimento ad Haushofer e ai geografi tedeschi, apprezzati più dei francesi per aver integrato la descrizione dell’ambiente fisico e umano (Raum) con quella dell’economia (Wirtschaft) e della società (Gesellschaft). L’«originalità» dei «geopolitici di Monaco» consiste nel «reinterpretare il materialismo economico per mezzo di un determinismo geografico», ma è riduttiva la loro tendenza a «ricondurre tutto alla politica». La geostoria consiste in definitiva nell’«estendere l’impresa dei geopolitici tedeschi allo studio complessivo del passato, anziché limitarlo, seguendo il loro indirizzo, soltanto al passato degli Stati»5.
Sia pure diversa6, la geostoria sarebbe dunque al tempo stesso una derivazione e un ampliamento o superamento della geopolitica tedesca. Ma, affascinato dal comune determinismo spaziale, Braudel non bada che i due concetti muovono da prospettive e da interessi del tutto opposti. La Geopolitik si accredita come guida «scientifica» all’azione politica: nel passato seleziona solo le apparenti conferme alle determinanti, prescrittive o piuttosto propagandistiche. Braudel vuol invece «trasferire nel passato il lavoro» che la geografia compie «sull’attuale»; perora «una storia che si vuole ‘resurrezione integrale’ del passato»7. Certo, poi riconosce che la geostoria «non è e non può essere tutta la storia»; che essa è sia «storia che l’ambiente impone agli uomini condizionandoli con le sue costanti», sia «storia dell’uomo alle prese col suo spazio»8; che «il vero fine della storia non è tanto il passato – un mezzo più che uno scopo – quanto la conoscenza degli uomini» perseguita dalle scienze sociali9; accenna perfino alla tesi del «saggista» Benedetto Croce che il passato condiziona il presente10. Ma quel che lo affascina è in definitiva proprio strappare dalla freccia del tempo un’istantanea del mondo che fu.
Braudel è stato certamente il grande pioniere della storia totale dei Mediterranei e degli Oceani, ma la sua idea di storia come ricostruzione di antichi panorami o ‘viaggio nel passato’ ha avuto scarsa fortuna sia tra gli storici sociali11 che fra i geografi e «geostoria» è rimasto in definitiva una mera crasi di «geografia storica»12. In realtà l’uso storico della geografia o delle geopolitica presenta lo stesso limite epistemologico dell’uso geografico o geopolitico della storia, e cioè una concezione riduttiva se non fuorviante della storia come mera ricostruzione o illusoria lezione del passato.
Ben diversa è invece la prospettiva della storia della geografia e della geopolitica, storia «interna» dell’oggetto e del metodo, ma anche storia «esterna» dello scopo perseguito: scoperta, conquista, propaganda, guerra, rivoluzione. Nei quaderni dagli Oflag l’ottica è solo interna, da cui discendono giudizi superficiali: «la scuola geopolitica di Monaco deriva in blocco dal pensiero di Ratzel»13, «Raum» equivale a «environment» dei geografi americani14. Sintomatico, in una teoria della geostoria zeppa di referenti e di excursus, non aver pensato al «Geographical Pivot of History» di sir Halford Mackinder, non troppo criptico apologo sull’imminente proxy war giapponese contro la Russia poi accademicamente frainteso e compuntamente elevato a dies natalis della «geopolitics» occidentale15. Tanto meno Braudel accenna alla mobilitazione dei geografi francesi16, americani17 e britannici18 per sostenere con argomenti ‘scientifici’ gli interessi nazionali alla Conferenza di Parigi, o alla partecipazione di Mackinder19, R. W. Seton Watson e Arnold J. Toynbee ai tentativi di ridisegnare i controversi confini degli stati successori dei defunti imperi multietnici.
Nella prospettiva di Braudel è irrilevante che la Geopolitik di Haushofer sia la nemesi di Mackinder e Bowman, perché in definitiva la geostoria appartiene alla sociologia e non alla storiografia. Ciò è invece centrale nella storia del pensiero geopolitico20, che a sua volta appartiene alla storia della politica e non alla storia della geografia. Studiare criticamente le origini di un sistema di idee e concetti, che si sviluppa in ‘scuole’ nazionali e si arroga lo statuto epistemologico di scienza avalutativa, autoreferenziale, anticipatrice e prescrittiva significa decodificarne il linguaggio e correlarla col suo particolare contesto storico. Che in pratica è quello determinato dalla questione d’Oriente, dal «great game», dalla prima globalizzazione, dalle guerre mondiali, dalla guerra fredda e dalla seconda globalizzazione giunta ormai pericolosamente alla fase ‘peloponnesiaca’ del conflitto tra egemone e sfidante. «Hearthland» o «Eurasia» indicano con opposta enfasi ideologica la posta in gioco permanente della collisione schmittiana tra Terra e Mare, iniziata nel 1763 (l’anno della supremazia globale britannica, del colpo di stato di Caterina II e dei prodromi dell’American Revolution21). E così vanno tradotti i concetti subordinati, come «Rimland» (controllo periferico dell’Eurasia da parte di Oceàna) e «Intermarium» (vuoto regionale di potenza nel settore euro-mediterraneo del Rimland, determinato dalla fine dei grandi imperi multinazionali, ossia dalla scomparsa del Kathékon schmittiano, poi rinato in forma sovietica e ora eurasiatica).
Accanto alla storia critica del pensiero propriamente geopolitico c’è però quella, non meno necessaria, degli sviluppi indipendenti che questa prospettiva ha avuto nel lessico corrente, a cominciare dal concetto franco-italiano di «Terzo Mondo» (reazione o adattamento degli «imperialismi straccioni»22 alla privazione delle colonie) fino al recente «Caoslandia» coniato da Lucio Caracciolo, senza dimenticare l’inflazione mediatica dopo lo «sdoganamento» della parola e dell’aggettivo da parte del mainstream 23.
Storia e geopolitica si possono però connettere anche in altri due modi. Uno, possibile ma finora non praticato, è la «geopolitica della storia»: uno degli effetti benefici dell’ondata iconoclasta in atto in Europa e egli Stati Uniti potrebbe essere di stimolare lo studio della «storia monumentale»24, dei luoghi della memoria, della geografia sacra ecc. Il terzo modo è la «storia geopolitica», analoga alla «geostoria» quanto a spazio e lunga durata, ma anche antitetica perché non mira alla struttura sociale profonda bensì alla «ricerca del dominio» (Quest for Dominance) sullo spazio. Celebre antesignana ne è stata nel 1976 la Grand Strategy of the Roman Empire di Edward Luttwak. Ma il vero pioniere è Jeremy Black, uno dei maggiori storici militari contemporanei e forse il più originale. Appassionato di geografia, nella sua sterminata produzione scientifica (finora circa 180 volumi in 35 anni) figurano sette libri e vari articoli di cartografia militare25 e due – il secondo (2015) evoluzione del primo (2009)26 – sul ruolo dei fattori geografici (spazio, posizione, distanza) nelle relazioni internazionali dell’età moderna e contemporanea. «Greatly excited by Braudel’s feel for place, a feel quasi hypnotic», Black rigetta tuttavia il «quasi-determinism of much of [his] conceptualization, argument, and phrases» e critica la dimensione più strutturalista che geografica della Méditerranée, l’incoerente correlazione tra struttura e potere («agency») e la tesi che la struttura sia «little touched by time (or events)»27.
La storiografia accademica diffida dell’impiego ante litteram di termini moderni come «strategia» (1773) o «geopolitica» (1899) per ‘traguardare’ questioni, percezioni e prassi di epoche precedenti o culturalmente estranee, perché attribuisce ad élite politiche del passato «a vision they never had and in language they would not have used»28. Ma non è quello il problema: senza anacronismi non vi sarebbe storiografia. Il rischio è solo che l’anacronismo obliteri quanto possiamo apprendere ricostruendo la genesi di un concetto e la sua diffusione (con slittamenti di significato), ovvero analizzando perché e quali assenze e/o ‘equivalenti’ possiamo trovare in altre epoche o culture29. Del resto la stessa «dottrina» geopolitica si è ampiamente retrodatata, annettendo nella galleria dei precursori le teorie del Sea Power, del Destino Manifesto e dei sistemi regionali autocefali (Dottrina Monroe coi corollari Drago/Roosevelt; Ius Publicum Europaeum), ma pure le teorie della proiezione globale di potenza (Potere aereo, nucleare, spaziale, finanziario e cibernetico) che, volendo azzerare l’attrito dello spazio fisico hanno mosso gli Acheronti30 degli spazi sociali e immaginari.
Secondo Black, la «plasticity», «fluidity, indeed mobility» del termine geopolitica è un problema ma pure un’opportunità per traguardare i modi in cui la geografia – e soprattutto la sua percezione – condiziona e guida l’esercizio della «statecraft» e la formazione del consenso. Il libro si propone infatti di fare il punto sullo stato della «scholarship», allargare il contesto temporale e concettuale valutando varie nuove metodologie e discipline, pesare l’effettiva influenza dei teorici sui decisori e valutare le conseguenze di progetti e attuazioni incompleti o opportunisti, concludendo che «only incorporating all possible inputs can geopolitical thinking be a liberating force in the world order». L’approccio empirico della storiografia strategica inglese, di cui Black è uno dei grandi maestri contemporanei, è il più aderente alla natura della scienza politica e militare, che è essenzialmente «teoria della prassi», elaborazione materialista31 di esperienze. Così la «Geopolitics before the term» è ricavata dalla prassi delle frontiere e della cartografia, mentre l’origine della geopolitica contemporanea viene svincolata dai pedanti riferimenti scolastici a Ratzel, Kjellén e Haushofer, e retrodatata alla genesi dell’impero britannico (1500-1815), scelto come esempio moderno di costruzione globale dello spazio (peraltro di breve durata, 1763-1947, perché minata ab origine dalla secessione coloniale, che ha portato alla successione americana, già intuita nel 1916 da Keynes32). I due capitoli seguenti riguardano il rapporto tra geopolitica e imperialismo (che secondo Black culmina nel 1890-1932), il sesto il revanscismo nazista con la seconda guerra mondiale e gli ultimi tre la geopolitica della guerra fredda, del post-1990 (l’ascesa della Cina) e del futuro (il «revival» della geopolitica e le sue prospettive).
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Guilherme Ribeiro, «La genèse de la géohistoire chez Fernand Braudel: un chapitre de l’histoire de la pensée géographique», Annales de Géographie, n° 686, 2012, pp. 329-346.
Fernand Braudel, Storia misura del mondo, con prefazione di Paule Braudel, Bologna, Il Mulino, 1998 ; 2018 (trad it. di «Histoire mesure du monde», dans R. de Ayala et P. Braudel, dir., Les Ambitions de l’Histoire, Éditions du Fallois, Paris, 1997).
In the concluding chapter («Géohistoire et déterminisme») of his famous thesis written in captivity, Braudel underlines the difference between the two concepts: «Mais si nous sentons le besoin de forger un mot différent de ce mot allemand adopté par quelques Français, c’est qu’en parlant de géohistoire, nous entendons désigner autre chose que ce qu’implique la géopolitique, autre chose de plus historique à la fois et de plus large, qui ne soit pas simplement l’application , à la situation présente et future des états, d’une histoire spatiale schématisée et, le plus souvent, infléchie à l’avance dans un certain sense»(La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, Colins, 1949, p. 295). Cfr. Pierre Daix, Braudel, Paris, Flammarion, 1995, p. 233; Giuliana Gemelli, Fernand Braudel, Paris, Odile Jacob, 1995, p. 93; Ribeiro, op. cit., p. 337.
Cfr. Francesco Pitocco, «Storia e letteratura. ‘Danno’ e ‘utilità’ di un rapporto controverso», in Paolo Favilli (cur.), Il letterato e lo storico : la letteratura creativa come storia, Milano, FrancoAngeli, 2013, p. 58 (sulla distanza di Bloch e Febvre rispetto a Braudel).
Ivo Mattozzi, «Chi ha paura della geostoria?», in Luciana Coltri, Daniela Dalola e Maria Teresa Rabitti (cur.), Geo-storie d’Italia: una alleanza possibile, Atti della Scuola estiva di Arcevia 2011, Associazione Clio 92, Cenacchi Editrice, Medicina, 2013; Mnamon, 2017. Michela Barbot, «E se Fernand Braudel avesse dialogato anche col diritto? Immaginando un destino più “istituzionale” per il pensiero braudeliano», in M. Cattini (ed.), Fernand Braudel, tre conferenze sul metodo. Trentacinque anni dopo: un seminario di riflessioni, special issue of “Cheiron. Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico”, 60, 2013, pp. 193-207.
Mackinder, «The Geographical Pivot of History», The Geographical Journal, Vol. 23, No. 4, April 1904, N. 4, pp. 421-437. V. Yves Lacoste, «‘Le pivot géographique de l’histoire’: une lecture critique», Hérodote, 2012, 3 (n° 146-147), pp. 139-158.
Taline Ter Minassian, «Les géographes français et la délimitation des frontières balkaniques à la Conférence de la Paix en 1919», Revue d’histoire moderne et contemporaine, tome 44 N°2, Avril-juin 1997. pp. 252-286.
Cfr. Andrea Perrone, «Isaiah Bowman, l’Inquiry e la Vittoria Mutilata», in V. Ilari (cur.), Over There in Italy. L’Italia e l’intervento americano nella grande guerra, Quaderno Sism 2018, pp. 165-186. Luca Muscarà, «Geografi, etnicità e confini a Versailles», in Elena Dell’Agnese e Enrico Squarcina (cur.), Europa. Vecchi confini e nuove frontiere, Torino, UTET, 2005, pp. 189-220.
Eric Goldstein, «Historians Outside Academy: G. W. Prothero and the Experience of the Foreign Office Historical Section, 1917-20», Historical Research, Vol. 63, Issue 151, June 1990, pp. 195-211. Id., Winning the Peace: British Diplomatic Strategy, Peace Planning, and the Paris Peace Conference, 1916-1920, Oxford 1991. Zara Steiner, «The Historian and the Foreign Office», in Pamela Beschoff and Christopher Hill (Eds.), Two Worlds of International Relations: Academics, Practitioners and the Trade in Ideas, Routledge, New York, 1994, pp. 41-54. Tomás Irish, «Scholarly identities in war and peace: the Paris Peace Conference and the mobilization of intellect», Journal of Global History, Vol. 11, No. 3, 2016, pp. 365-386.
Simone Pelizza, «The Geopolitics of International Reconstruction: Halford Mackinder and Eastern Europe, 1919–20», The International History Review, 2015,
Michel Korinman, Quand l’Allemagne pensait le monde. Grandeur et décadence d'une géopolitique, Paris, Fayard, 1990.
Immaginando nel 1763 il lontano futuro dell’Europa (The Reign of George VI 1900-1925), il reverendo Samuel Madden ipotizzava un’invasione russa dell’Inghilterra. Nel 1763 fu pure stabilito il commercio diretto tra Boston e Kronstadt, che violava le regole britanniche e fu tra i prodromi della Ribellione delle Tredici Colonie. Sulla dimenticata cooperazione russo-americana contro il comune nemico britannico (1780-1945), v. V. Ilari, «Our Northern Neighbour», Limes, febbraio 2016, pp. 145-152.
Cfr V. I. Lenin («Imperializm i sotsializm v Italii», in Polnoe, sobranie, sočinenij, M., 1969, vol. 27, p. 15) in polemica con Roberto Michels («L’imperialismo italiano», Milano, 1914).
J. Black, Maps and Politics, University of Chicago Press, 1997; Maps and History. Constructing Images of the Past, New Haven and London, Yale U. P., 1998; Visions of the World: A History of Maps,Mitchell Beazley, 2003; Mapping Naval Warfare: A Visual History of Conflict at Sea, Osprey, Bloomsbury Publishing, 2017; Maps of War: Mapping Conflicts through Centuries, Conway, Bloomsbury, 2018; Mapping Shakespeare: An Exploration of Shakespeare’s worlds through maps, London, Conway, Bloomsbury Academic, 2018; World War 2 in 100 Maps, BL Books, 2020.
J. Black, Geopolitics, London, Social Affair Unit, 2009; Geopolitics and the Quest for Dominance, Bloomington, Indiana U. P., 2015. Recensioni: Spencer Mawby (The International History Review, 2016, pp.1088-89); Joe Devanni (Defence Studies, 16, 4, 2016, pp. 451-453); Luca Muscarà (Journal of Interdisciplinary History, vol. 47, No. 4, Spring 2017, pp. 537-538); Anthony D’Agostino (The American Historical Review, 122, 2, 2017, p. 483); David A. Anderson (Military Review, 2017). Recensione congiunta con Phil Kelly (Classical Geopolitics: A New Analytical Model, Stanford) e Jakub Grygiel & A. Wess Mitchell (The Unquiet Frontier, Princeton) online in Mackinder Forum (May 10, 2016, Bert Chapman).
J. Black, «A Personal Note», in Clio’s Battles: Historiography in Practice, Bloomington, Indiana U. P., 2015, p. 263. Black cita Braudel pure in altri libri (es. Studying History, 1997/2017, pp. 68 ss; War in Europe: 1450 to the Present, 2017, p. 218), ma non in Geopolitics.
J. Black, Military Strategy: A Global History, , Introduction, p. 15, a proposito di John P. Le Donne, The Grand Strategy of the Russian Empire, 1650-1831 (New York, 2004), pp. vii-viii.
Beatrice Heuser, Strategy Before Clausewitz: Linking Warfare and Statecraft, 1400-1830, Routledge, 2017.
INTRODUZIONE
Parlare o scrivere con l'intento di informare è un atto di responsabilità.
Grazie all'uso del web per diffondere messaggi è esplosa la produzione di contenuti in quanto comunicare è diventato più facile e veloce. Basti pensare che sono state prodotte più informazioni negli ultimi trent'anni rispetto che agli ultimi 5000. Ma quante tra queste informazioni sono utili allo sviluppo della società?
Tra i rischi presentati nel rapporto "Global risks 2013", uno dei primi rischi che viene presentato come tale è la "digital wildfires" (la pubblicazione di false informazioni o fuorvianti).
Internet è piena di cretini, truffatori e pseudoscienziati che senza alcuna conoscenza specifica, o addirittura alcuna conoscenza, diffondono bufale spacciandole come verità assolute frutto di una ricerca indipendente e si credono custodi di un segreto che pochi conoscono.
Contro i questi cretini l'unica salvezza è avere un minimo di conoscenze, per cui studiare e leggere (testi specifici sull'argomento scritti da università, centri di ricerca o pubblicazioni scientifiche) e ci si vacinerà da bufale e pseudoscienze, altrimenti si continuerò a crede ai ciarlatani o alle bufale solo perché sembrano convincenti.
Da un punto di vista culturale le bufale rappresentano una sconfitta per tutta la società: se così tante persone ci cascano è evidente che manca la cultura, la capacità di critica e di analisi basilare e questo porta, inevitabilmente ad una perdita di fiducia in internet come mezzo di informazione e cultura.
Infine vi siete mai chiesti perché si chiamano bufale?
Secondo l'accademia della Crusca, deriva da "menare per il naso come una bufala", cioè prendere l'interlocutore per il naso e portarlo in giro come si fa coi buoi, dato che è questo in fin dei conti che succede: si viene presi per il naso da degli idioti da delle menti a volte inferiori alle nostre.
AVVERTIMENTO: Attenzione proseguendo con la lettura rischi di veder vacillare alcune delle tue sicurezze sempre che… tu non sia una di quelle persone che hanno abbandonato la ragione, nel qual caso è come dare la medicina ad un morto.
COME NASCE UNA BUFALA E CHI CI GUADAGNA
Le bufale e la disinformazione in particolare, nascono e si sviluppano nel tempo, sia a breve che a lungo termine in diverse forme e con diverse finalità.
C'è ad esempio chi le diffonde volutamente, sapendo quello che sono (ovvero bufale) prendendo spunto da elementi di cronaca vera al solo scopo di avere visibilità.
Gli pseudoscienziati diffondono quelle che vengono chiamate bufale pseudoscientifiche, vestendo una teoria impossibile di parole complicate tipiche della chimica, della fisica o della medicina senza nessun significato scientifico.
Ci sono i vari blogger, pubblicisti e pseudogiornalisti che, leggendo una notizia senza un minimo di verifica delle fonti, la pubblicano traendone una propria interpretazione personale, ripubblicando una notizia falsa che poi aumenta di autorevolezza.
In fine ci sono i complottisti, che interpretano avvenimenti, notizie o eventi secondo una loro logica particolare frutto di preconcetti, credenze e spesso paranoie. Queste notizie vendono quindi ripubblicate, condivise e si diffondono notizie inverosimili, fantasiose.
Tra i complottisti vi sono i "finti complottisti". Questi personaggi usano la credulità e la debolezza mentale di alcune persone per trarne visibilità: diffondono notizie false o modificate (avvistamenti ufo, scoperte scientifiche rivoluzionarie che vendono tenute segrete,ecc.) approfittando spesso anche della loro fama e del fatto che l'utente medio non si preoccupa di verificarne la fonte o l'autenticità.
Con l'avvento di internet, dove ogni persona ha la possibilità di crearsi un suo sito web, o blog l'attività di persone che diffondono bufale o notizie false è aumentata e con l'uso dei social network è cresciuta in maniera esponenziale.
"Cui prodest?" verrebbe da chiedersi ma la risposta è più facile di quando si creda. Basta aprire un sito di bufale (poi ne vedremo alcuni) ed accorgersi di quanta pubblicità è presente.
Quindi, come per ogni forma di pubblicità, maggiore è il numero di visitatori e maggiori saranno le entrate del sito, soprattutto se si tiene conto che solitamente i siti di bufale usano il sistema CPM e non CPC.
Da un punto di vista legale diffondere bufale non è esente da rischi: si può incorrere nel reato di diffamazione (nel caso si usi il nome di un personaggio famoso), procurato allarme (nel caso si cri allarme sociale e si spaventino le persone), Istigazione all'odio (come nel caso dello studente siciliano che si inventavo notizie di sfondo raziale) e Pubblicità ingannevole (nel caso si cerchi di vendere un prodotto o creare affiliazione online).
COME SI RICONOSCE UNA BUFALA
Abbiamo visto come le bufale si diffondono facendo leva sull'emotività, sull'allarmismo o sullo svelamento di verità occulte.
Spesso chi diffonde una notizia bufala lo fa con la convinzione che sia vera, perché lo crede, preferendo dare ascolto alle sue emozioni o convinzioni piuttosto che ad un ragionamento logico: se siamo in uno stato di arrabbiatura e di insoddisfazione saremmo, ad esempio, più portati a condividere una notizia negativa (gli immigrati diffondono la lebbra in italia), o complottistica che giustifica il nostro stato d'animo (le lobby al potere ci tengono in povertà per sottometterci).
A questo aggiungiamo che è normale che tutti noi amiamo aver ragione ed odiamo aver torto, quindi se leggiamo una notizia che confuta una nostra opinione siamo più portati a condividerla a prescindere dalla fonte.
Prendiamo ad esempio la frase "Se lasciamo entrare gli immigrati a volontà, aumenteranno gli stupri e le malattie infettive!", la prima cosa da chiedersi se è davvero pertinente e se c'è davvero una correlazione tra i due eventi.
Questo modo di pensare, chiamato "fallacia del pendio scivoloso" è un ragionamento con cui, partendo da una tesi, si trae una sequenza di conseguenze presentate come inevitabili ma, in realtà, del tutto arbitrarie, anche se il ragionamento sembra corretto.
Bisogna subito chiarire che chi adopera questo ragionamento fa leva sulla paura spesso dettata dall'ignoranza sulla materia; sempre per questo motivo chi la percepisce, a fronte di una sua paura o convinzione più o meno espressa, la recepisce come un argomento logico e dalle solide basi perché ha solo la percezione delle conseguenze negative dell'affermazione e di conseguenza - per questo esempio - si convince dell'inutilità dell'immigrazione perché legge in continuazione di immigrati che commettono stupri od omicidi, in quanto sarà più portato a prestare attenzione ad articoli e servizi giornalistici che enfatizzano simili notizie.
È come se ci si concentrasse solo sugli effetti indesiderati presenti nei bugiardini dei medicinali, senza considerare il resto: se così fosse non si prenderebbe nemmeno uno sciroppo per la tosse.
Da questa lunga, ma doverosa, introduzione capiamo che il primo passo per saper riconoscere una bufala sta nel cambiare il nostro modo di ragionare: dobbiamo cercare di valutare le notizie in base a "dati" e non in base a quello che stimolano nella nostra sfera emotiva.
Prendiamo l'esempio della notizia "Ti fai le selfie? Allora hai un disturbo mentale" che ha spopolato nel mese di marzo del 2014. Bene questa notizia è stata postata da Leggo.it, UrbanPost, Eticamente.net, Macynet, Vnews24, altri blogger e, naturalmente, condivisa da migliaia di persone su Facebook.
Ma da dove viene la fonte?
La fonte è "The Adobo Chronicles" (https://adobochronicles.com/) un sito satirico che l'ha messa in online il 31 marzo in modo che fosse condivisa il 1 aprile! Chiaramente l'American Psychiatric non ha mai pubblicato uno studio simile sul suo sito, ne è mai stato fatto.
Questo esempio ci permette di vedere come iniziare a smascherare la bufala.
1. Per prima cosa quanti di noi, leggendo il titolo non ha pensato a quell'amico o amica che continua a spararsi selfie e pubblicarli su Facebook e si è detto "Lo sapevo che non era normale"? Molto pochi sono sicuro.
Quindi ecco il primo passo se fa leva sulle nostre emozioni (in questo caso un emozione negativa) iniziare a dubitare: un articolo, soprattutto scientifico, se ben argomentato non ha bisogno di far leva sulle nostre emozioni.
2. Il secondo passo è analizzarne la fonte originale. Già a leggere gli articoli si vede che vi è un riferimento (vago) ad uno studio fatto da ricercatori americani (senza specificare i nomi o a quali università o enti di ricerca pubblici o privati appartengano) e prosegue parlando, sempre vagamente, di una scala fatta dagli psichiatri (sempre senza specificare nomi o enti di ricerca) per valutare il livello del disturbo.
C'è da specificare che ad oggi (dicembre 2016) l'unico sito che ha rimosso la notizia è leggo.it, in tutti gli altri è ancora presente.
3. Adesso vediamo l'ultimo elemento necessario per analizzare questa notizia come bufala: chi ne guadagna?
Bè in questo caso chi ha dato inizio alla bufala l'ha fatto chiaramente con uno scopo goliardico (basta pensare alla fonte iniziale e alla data), chi invece l'ha condivisa senza verificarla, e ancora la tiene presente nelle sue pagine, l'ha fatto chiaramente a scopo di lucro: se ad esempio apriamo la pagina di vnews24 relativa alla notizia (http://www.vnews24.it/2014/04/05/apa-selfie-disturbi-mentali/) o urbanpost (http://urbanpost.it/ricerca-psichiatrica-rivela-al-malattia-mentale-di-chi-abusa-dei-selfie-vari-stadi-di-gravita) vediamo subito quanta pubblicità è presente.
L'IMPORTANZA DELLA FONTE
Tralasciando il primo punto (ognuno di noi deve imparare a capire quando le proprie emozioni offuscano il discernimento) concentriamoci sull'importanza della fonte.
Per prima cosa se arriva da un sito internet verifico la "credibilità" di questo sito e dell'autore.
Se un sito è un dominio di 3 livello (es. nome.dominio.it) allora l'autore non ha nemmeno quei pochi euro per pagarsi un dominio decente e già questo mi fa riflettere.
Viene poi da chiedersi da dove l'autore della notizia trae le sue informazioni.
Come nell'esempio precedente se si fa riferimento ad una ricerca fatta da un ente basta andare a vedere se realmente questo ente l'ha fatta e, soprattutto, cosa realmente dice questa ricerca.
Solitamente basta questo a riconoscere una notizia bufala.
Possiamo poi verificare a chi appartiene il dominio e verificare la credibilità di questa persona.
L' esempio è di un famoso sito di misteri, che ha come proprietario lo stesso "personaggio" che scrive la maggior parte degli articoli: alcuni articoli sono pubblicati a suo nome, altri firmati con "La redazione" e nel suo profilo si scopre che si definisce "ricercatore" senza specificare in quale ambito scientifico riconosciuto.
Sempre dal sito si scopre che vengono organizzati convegni (costo variabile tra i 10 ed i 20 euro) e googolando si copre che l'autore scrive e promuove libri di misteri.
Tutta questa ricerca non ha occupato molto tempo sono bastati meno di 10 minuti.
Se voglio velocizzare la ricerca posso anche appoggiarmi ad uno dei tanti siti che si occupano di svelare le bufale oppure consultare il sito del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze)
Qua si apre adesso un altro capitolo sulla fonte: la pseudoscienza!
PSEUDOSCIENZA
Pseudoscienza è ogni teoria che sostenga di essere scientifica ma rifiuti di avvalersi del metodo scientifico (o metodo sperimentale), che è alla base della scienza moderna, per dimostrare le proprie affermazioni.
Ma cosa c'entra al pseudoscienza con le bufale? Semplice la pseudoscienza e le bufale sono alla fine la stessa cosa.
Dubbi? Basta leggere qualche titolo di argomento a riguardo: "Gli OGM causano il cancro" oppure "I vaccini provocano l'autismo" ed ancora "Le scie chimiche servono a farci ammalare". Questi ritornelli rimbalzano in rete, da sito a sito, da tweet a tweet, da post a post. Sui social network nessuno controlla quello che viene pubblicato (a meno che non sia perseguibile a livello legale) e la lista delle bufale pseudoscientifiche prive di fact-checking cresce di giorno in giorno.
La nostra società sta attraversando un momento di scarsa fiducia nella scienza, che alimenta anche atteggiamenti di natura "complottista", a questo aggiungiamo che la diffusione della conoscenza e l'informazione è radicalmente cambiata negli ultimi 20 anni e moltissime persone non sanno come funziona una pubblicazione scientifica seria (Science, Nature, The Lancet, Physical Review, ecc. che sono contenitori per resoconti tecnici che riportano il necessario a comprendere e riprodurre uno studio), da una pubblicazione definita "da edicola".
Spesso chi diffonde notizie false e pseudoscientifiche usa parole che ricordano la vera scienza, ad esempio si parla di "Risveglio quantico" senza che nulla abbia a che fare con la fisica quantistica oppure "energia piezonucleare" che crea, dal nulla, una intera teoria fisica alternativa a quella einsteiniana. Difronte a frasi quali "trasmutazioni di energia leggera" o il "colore come forza vitale" un dibattito scientifico è improponibile in quanto queste espressioni non hanno alcun significato scientifico.
L'uso di un linguaggio così complesso è voluto in quanto, non permettendo di confutarne il metodo, non può essere contraddetto e la pseudoscienza può essere libera affermare ciò che vuole senza vincolo e senza tema dal punto di vista concettuale.
Da un punto di vista della società le bufale pseudoscientifiche sono le più pericolose, perché convincono ogni anno migliaia di persone ad abbandonare tecniche mediche sicure e testate in favore di non meglio comprovati metodi scientifici che quasi sempre portano alla morte del paziente o a non far vaccinare i bambini andando ad eliminare quello che si definisce "Immunità di gregge".
COME E PERCHÉ DIFENDERSI DALLE BUFALE?
Partiamo dalla seconda domanda: perché difendersi dalle bufale? Bè la prima cosa che viene in mente è perché a nessuno di noi piace essere preso per il naso e portato in giro (anche se solo metaforicamente) da qualcuno che ci fa fare la figura degli stupidi.
Ma a parte le considerazioni su come possa venir ferito il nostro orgoglio bisogna considerare anche il danno sociale che una falsa notizia può creare.
Pensiamo ad esempio alla disinformazione su alcune pratiche sanitarie che portano alla morte delle persone; pensiamo ad esempio alla madre riminese di 34 anni che è morta perché ha rifiutato la chemioterapia per curare un tumore al seno, preferendo la "nuova medicina germanica" o "metodo Hamer", che vede nei conflitti psichici la causa dei tumori e che quindi non sia necessario usare farmaci o chemioterapia per guarire.
Ma come ci difendiamo quindi da questi pericoli?
Semplice: con la conoscenza!
Non è il modo più facile ma sicuramente ci permette, oltre che a imparare a difenderci, anche di accrescere la nostra cultura.
Il problema che segue è: come ci si informa in maniera corretta? Qua le cose si possono complicare a seconda della tipologia di informazione che si vuole valutare.
Nel caso si tratti di un informazione generica (ad esempio l'arresto di un personaggio famoso) la verifica può essere fatta molto facilmente, confrontando varie fonti di informazioni considerate serie e che sulla serietà ed imparzialità delle notizie che diffondono basano la loro fama come l'Associated Press, l'Ansa, l'Adnkronos, la Reuters, la CNN o la France Press per citare le più famose.
Nel caso di un avvenimento o evento particolare (ad esempio la nave che ricompare dopo 92 anni senza equipaggio in un porto a Cuba) basta andare su uno qualunque sito che tratta le bufale per conoscere la vera storia di come è nata e quando quella falsa notizia; infatti spesso le bufale tendono anche a ripresentarsi a distanza di anni, magari cambiando solo qualche nome o luogo.
Per le false notizie di carattere scientifico la cosa si fa leggermente più complicata.
Informarsi di scienza non è mai semplice, se l'argomento è semplificato troppo rischia di diventare oggetto di travisamento, se si sta troppo sullo specifico allora diventa incomprensibile a molti.
In questo caso è importante la valutazione della fonte da dove proviene lo studio o la ricerca scientifica alla quale si fa riferimento, e per fare questo basta informarsi su come funziona il principio di pubblicazione scientifica: se la fonte arriva realmente da una pubblicazione che altri esperti sono in grado di comprendere ed interpretare (come ad esempio Physical Review) molto probabilmente è vera.
Infine, concludiamo questo nostro lungo discorso con una considerazione: non si potrà mai e far cambiare idea su una bufala o una falsa conoscenza/informazione a qualcuno che basa tale conoscenza su motivazioni ideologiche anziché logiche.
GLOSSARIO
CPC (Cost Per Click): per ogni singolo click è previsto un costo specifico, che può variare mediamente tra i 10 e i 50 cent. Non importa quante volte il banner, l'annuncio o la sponsorizzazione verrà visualizzata, nelle campagne PPC (ossia Pay Per Click, quelle in cui si paga in CPC) verranno conteggiati solo ed esclusivamente i click ai fini del pagamento
CPM (Cost Per Mille): indica il Costo per Mille visualizzazioni (impression) del banner o della sponsorizzazione su di una pagina. Non importa quanto e se ci saranno click effettivi solo che il banner pubblicitario sia visualizzato.
DOMINI: i livelli dei domini sono definiti gerarchicamente in ordine crescente a partire da destra, ed ogni livello è separato da un punto (.); il primo livello si riferisce all'estensione (.it, .com, .org, .eu, ecc.), i domini si secondo è la parte che precede il dominio di primo livello (il nome del sito detto in maniera semplice). Infine il dominio di terzo livello, detto anche sottodominio, è il livello immediatamente inferiore.
CLICKBAIT: è un termine che indica un contenuto web il cui scopo è quello di attirare il maggior numero d'internauti, avendo come scopo principale quello di aumentare le visite a un sito per generare rendite pubblicitarie online."
7 SEMPLICI REGOLE PER RICONOSCERE UNA BUFALA
1) Leggere tutto l'articolo: la maggior parte dei lettori online si fermano al titolo o ai primi paragrafi prima di decidere se condividere o meno un articolo. Spesso la storia raccontata ha poco o niente a che vedere con il titolo.
2) L'importanza del dominio: in poche ore, è possibile creare un sito usando WordPress.com, Altervista.org, Blogspot o latri siti analoghi. Questo vuol dire che, potenzialmente chiunque può tirare su un sito web dove scrive articoli informativi. Se poi il dominio è di terzo livello ...
3) Trovare il vero autore o la vera fonte: se la notizia interessa e la si vuole ripostare è sempre meglio assicurarsi che sia vera (altrimenti che figura ci facciamo?) quindi un po' di fact checking è obligatorio. Per approfondire questo argomento che risulta molto lungo consiglio di consultare il verification handbook (http://verificationhandbook.com/) una breve guida redatta da famosi giornalisti di varie testate serie.
4) Fare attenzione a citazioni e foto discutibili: moltissime volte gli autori di bufale si inventano citazioni che vengono attribuite a personaggi famosi oppure estrapolano una parte di un discorso a loro vantaggio; allo stesso modo una foto con photoshop o Gimp può tranquillamente essere modificate (anche leggermente) in modo da trarre in inganno l'osservatore.
5) Se iniziano con "Clamoroso", "Quello che nessuno ti dice" oppure "Non vogliono fartelo sapere" si tratta al 99% di clickbait per farti abboccare.
6) Fare attenzione ai propri pregiudizi: una notizia che si avvicina al nostro modo di pensare o di vedere il mondo sarà soggetta ad un attenzione minore da parte nostra riguardo la fonte.
7) Prima di condividere, pensa! La regola più importante: se di un argomento non sono esperto o non ho le capacità e la conoscenza rischio di fare una figuraccia nel caso risulti una bufala.
ALCUNE FOTO BUFALE DIVENTATE VIRALI E FAMOSE
LISTA NERA DEI SITI WEB
Se siete riusciti ad arrivare fino a qua adesso potete divertirvi a considerare alcuni siti che spesso diffondono bufale o notizie false.
Come si vedrà dalla lista che segue molti usano nomi simili a testate giornalistiche serie e storiche per diffondere le loro idee; non stupisce quindi vedere un sito che si chiama skytg24news che nel nome ricorda il famoso sito di news internazionale (che però è di tutt'altra levatura ed il cui link è http://tg24.sky.it/) oppure corrieredisera.it che vuol ricordare la storica testata di notizie corriere.it che invece è la versione online del corriere della sera.
Altri, invece, fanno ricorso ad un nome che evoca un sentimento nazionale o di giustizia, come ad esempio sostenitori.info (il cui nome completo è sostenitori delle forze dell'ordine) e che anche nella grafica cerca di ricordare i colori della polizia.
Infine ci sono siti che stimolano la curiosità delle persone con titoli come losai.eu, disinformazione.it oppure senzacensura.eu chiuso per istigazione ad odio raziale.
Come si vede spesso chi crea siti di disinformazione lo fa creando un nome che cerca di attirare l'internauta ignorante che si fida.
Ecco la lista di alcuni dei più famosi siti che, con più o meno frequenza fanno, disinformazione o controinformazione, dir si voglia :
http://lastella.altervista.org/
http://www.segnidalcielo.it/
http://www.attivotv.it/
https://autismovaccini.org/
http://saltoquantico.org/
http://catenaumana.com/
http://voxnews.info/
http://blognews24ore.com/
http://skytg24news.com/
http://www.sostenitori.info/
http://www.senzacensura.eu (chiuso per istigazione ad odio raziale)
http://tzetze.it/
http://www.tgnewsitalia.it/wp/
http://www.corrieredisera.it/
http://attivistam5snews.blogspot.it/ (attenzione pesante da caricare)
http://www.italiapatriamia.eu/
http://www.losai.eu/
http://www.disinformazione.it/ (uno dei miei preferiti in quanto a fake news)
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/
http://evidenzaliena.altervista.org/ (qua invito a leggere l'articolo Alimentazione e acqua alcalina: evidenze scientifiche ne provano l'efficacia anche in patologie oncologiche e quindi andare sul sito del CICAP e cercare la spiegazione scientifica del perchè non è vero)
http://www.medicinenon.it/ ( in particolare disinformazione su vaccini ed autismo)
http://www.conoscenzealconfine.it/
http://www.conoscenzealconfine.it/
http://www.vnews24.it/
http://www.italiapatriamia.eu/
Da questa lista ho voluto eliminare le pagine facebook per non dover fare una lista di più di 300 pagine A4.
LA BUFALA DELLA DIETA ALCALINA
Una delle bufale più interessanti che girano nel web (ma anche in televisione in programmi quali le Iene) è quella della dieta alcalina.
Questa dieta parla di benefici incredibili derivanti dal bere acqua alcalinizzata (cioè acqua con l'aggiunta di sostanze come il bicarbonato, che la rendono più basica). La teoria del libro è che tutte le patologie, dal raffreddore al cancro, compreso le malattie cardiovascolari, e quelle infiammatorie croniche, dipendano dall'alterazione del pH (acidità) del nostro corpo, che passa da una alcalinità ritenuta naturale, ad una acidità causata da cattivi alimenti ingeriti. Da un punto di vista scientifico questa teoria risulta alquanto singolare perché sostenere l'esistenza di una dieta universale perfetta e teorizzare che tutte le patologie abbiano una sola causa e una sola cura, non è molto serio.
Ma una dieta ricca di alimenti alcalini può davvero essere d'aiuto in oncologia? Test in vitro hanno dimostrato, in effetti, che le cellule tumorali crescono più velocemente in un ambiente acido rispetto a un ambiente basico. Il problema è che l'organismo è cosa ben diversa da un vetrino di laboratorio: non è possibile, infatti, cambiare il suo pH agendo semplicemente sul tipo di alimentazione. A seconda del tipo di dieta è possibile alzare o abbassare il pH di saliva e urine, ma non del sangue e del resto dell'organismo.
Il chirurgo Salvo Di Grazia nel suo libro "Salute e bugie"ci spiega come mai questa teoria è impossibile:
"Una delle stupidaggini a cui credono i seguaci di queste pseudodiete è quella che si possa controllare lo stato di salute del corpo controllando il pH urinario, se acido, bisognerebbe correggerlo. In realtà il pH urinario è necessariamente lievemente acido (anche se il suo pH varia durante il giorno e secondo la dieta e le condizioni di salute) per il semplice motivo che sta eliminando, attraverso i reni, i residui che il nostro corpo non trattiene."
…
"Il nostro sangue ha un pH lievemente alcalino: 7,4. Se questo valore diminuisce (quindi va verso lo 0) o aumenta (verso il 14) anche di poco non potremmo sopravvivere perchè la maggioranza dei meccanismi che ci consentono la vita non funzionerebbero e verrebbero danneggiati in pochissimo tempo (pochi minuti!). In realtà il nostro pH non è un valore fisso, varia di pochissimo (per esempio un pH di 7,3 o di 7,5 per pochi minuti, potrebbe non provocare danni particolari) ma viene subito riportato alla norma."
…
Il nostro corpo regola il ph mediante due mezzi: i reni e la respirazione. "Espirando eliminiamo delle sostanze in modo da riportare il pH nella norma, quando serve i nostri polmoni riescono a riportare il pH alla normalità in tempi brevissimi (si pensi all'apnea, il respiro "affannoso" che segue ha questo scopo, i recettori che regolano la respirazione reagiscono ad un aumento della CO2). I reni hanno un ruolo meno "importante" ma molto più raffinato: eliminano con l'urina le sostanze che condizionano il pH.
Se per qualsiasi motivo il pH del nostro organismo non è stabile (quindi va "oltre" la normalità del 7,4, verso l'acidità o la basicità) si entra in uno stato patologico: se si va verso l'acidità si parlerà di acidosi metabolica al contrario di alcalosi metabolica. Sono due condizioni che, se non rapidamente risolte, possono portare alla morte in breve tempo (per valori di pH inferiori a 6,8 e superiori a 7,8)."
…
"Un alimento alcalino, subito dopo l'ingestione, viene a contatto con i succhi gastrici presenti nello stomaco che, come tanti sanno, sono fortemente acidi. Questo "incontro" neutralizza l'alcalinità dell'alimento che al momento di venire assimilato è praticamente neutro (o addirittura acidificato).
Anche se esistesse un alimento che riuscisse a mantenere la sua basicità dopo il passaggio dallo stomaco, fino a riuscire a far variare il pH del sangue, si metterebbero in moto tutti i meccanismi spiegati prima che rimedierebbero come abbiamo visto, riportando immediatamente il pH ai valori consueti.
Anche se esistesse (ma non esiste) un alimento commestibile che dopo aver sorpassato indenne l'acidità gastrica e non aver scatenato i meccanismi di regolazione del pH, riesca a rendere "basico" il nostro sangue, basterebbero pochi minuti di questa condizione per andare in alcalosi metabolica. Se esistesse questo tipo di alimento, sarebbe un veleno e mangiarlo significherebbe morire, altro che salute."
Quindi il nostro corpo si "protegge" da solo contro le variazioni del proprio pH. La dieta alcalina non fa ciò che promette di fare: alcalinizzare il nostro organismo. Se si aumentare l'apporto di frutta e verdure, pilastri fondanti della dieta di Young, è senz'altro una cosa positiva (non certo per le loro proprietà alcalinizzanti); il rischio è invece quello di rifiutare cure di provata efficacia per seguire le illusioni di una "cura" mai dimostrata.
SUMERI ED UFO
Partendo dalle teorie di Zecharia Sitchin (esperto nella civiltà sumera) si sono sviluppati una serie di siti inernet e pagine facebook piene di stravanganti teorie secondo le quali alieni chiamati Anunnaki avrebbero visitato la terra in tempi remoti all'alba della civiltà, il periodo dei regni sumeridi.
Nel Vonderasiatische Museum di Berlino è conservata un'incisione sumera che raffigurerebbe con le corrette dimensioni in scala tutti i pianeti del nostro sistema solare. La cosa strabiliante inoltre è che nel disegno sarebbe raffigurato un decimo pianeta, soprannominato Nibiru dagli antichi Sumeri, un corpo planetario più grande della Terra che attraverserebbe una volta ogni 3600 anni circa il Sistema Solare secondo un orbita molto eccentrica e inclinata di alcune decine di gradi sull'eclittica. Possibile che i Sumeri conoscessero meglio di noi stessi il nostro sistema solare e abbiano lasciato quest'incisione per darci lezioni di astronomia?
Lo studioso Michael Heiser laureato in Bibbia Ebraica ed Antichi Linguaggi Semitici ha analizzato il sigillo sumero e, come correttamente andava fatto, ha studiato il disegno del presunto sistema solare, all'interno del contesto del sigillo, e non si è limitato ad un esame superficiale come invece fece Zacaria Sitchin.
Secondo Michael sono tre le ipotesi di quello che il sigillo voleva significare se letto nella sua interezza:
"Prima ipotesi: il VA243 sta decantando una divinità o una stella speciale associandola con altre stelle in una sorta di rappresentazione zodiacale. Non lo ritengo possibile perché ci sono altre rappresentazioni molto più chiare dello costellazioni zodiacali. A meno che non ci siano chiare connotazioni zodiacali, una stella era simbolica di una divinità, il che ci porta alla seconda ipotesi.
Seconda ipotesi: più plausibile è l'idea che la stella centrale rappresenta una divinità che ha una qualche associazione con la fertilità dato che l'iscrizione descrive un'offerta da parte di un adoratore (che è nominato) ad una divinità seduta che è associata nel sigillo con il raccolto fertile. Dato che ci sono altre due figure sul sigillo oltre che il dio seduto, e uno è colui che offre, la figura rimanente è probabilmente anche una divinità associata con l'offerta. A sostegno di questa possibilità ci sono delle "aggiunte" mostrate sul sigillo rispetto a queste due figure che fronteggiano il dio seduto e il copricapo della figura. Inoltre a vantaggio di questa ipotesi c'è il fatto che ci sono letteralmente centinaia di questi "sigilli di offerta", e molti hanno una stella in alto in prossimità delle teste delle figure, a significare che la figura è una divinità
Terza ipotesi: dato che la stella è circondata da altre undici stelle (pallini), la rappresentazione artistica potrebbe rappresentare il capo del concilio delle divinità Mesopotamiche e i suoi altri undici membri. Ricordate che (come dice Sitchin) il concilio Mesopotamico aveva 12 membri. Ho notato prima di questo che il concilio di 12 membri non è sempre presente nella religione Mesopotamica (all'epoca il concilio era composto da otto divinità), ma 12 è il numero più prevalente. Questa tesi è attraente, ma non posso dire che ci siano più prove che per la seconda ipotesi"
Quindi nulla a che vedere con extraterresti o decimi pianeti. Naturalmente essendo ipotesi non abbiamo la spiegazione scientifica certa del sigillo, ma una cosa certa, una volta tanto, la sappiamo: quello che viene rappresentato nel sigillo non è sicuramente il nostro sistema solare, ed il perché è molto semplice: il sole rappresentato non e' il sole.
"Il presunto simbolo del sole sul sigillo non è il sole. Sappiamo questo perché non è conforme alle consistenti rappresentazioni del sole in centinaia di altri sigilli cilindrici ed esempi di opere d'arte Sumero-Mesopotamiche [..] sumeri e i mesopotamici distinguevano il sole dalle stelle usando simboli differenti – e associando ciascun simbolo con il dio solare e altre divinità, rispettivamente. Semplicemente, non c'è alcuna prova Sumero-Accadica che supporti l'identificazione di Sitchin. [..]Questo simbolo del sole è onnipresente nelle opere d'arte religiose Sumero-Mesopotamiche"
Anche per le altre ipotesi di contatti tra antiche civiltà e visitatori extraterrestri vi sono spiegazioni simili come per le statue giaponesi che gli ufologi dicono rappresentare extraterrestri con tute da astronauta alle line di Nazca.
BUFALE SULLA SALUTE
Le bufale o la cattiva informazione peggiore è quella che riguarda al salute. Questo perché va a colpire le persone dove sono più vulnerabili e sensibili e spesso con risultati disastrosi.
La prima in assoluto, che non è nata ai tempi di internet ma con internet si è propagata come un epidemia, è quella che mette in correlazione le vaccinazioni infantili con l'autismo.
Partiamo subito con la smentita: non esiste alcun legame causale tra vaccini e autismo.
Lo ha stabilito ormai 12 anni fa l'Organizzazione Mondiale della Sanità, e lo hanno poi ribadito tutte le ricerche, analisi e metanalisi effettuate nei 12 anni successivi. Ma questo, ovviamente, non ha impedito alla bufala di crescere e diffondersi, in particolare in rete, dove ha trovato terreno fertile producendo una schiera di siti e gruppi di presunta contro informazione, dedicati proprio alla lotta contro i vaccini.
Ma come è nata questa bufala?
Nel 1998 il medico inglese Andrew Wakefield pubblicò sul Lancet, una delle più prestigiose riviste mediche del mondo, uno studio che segnalava un possibile legame tra autismo e vaccino trivalente per morbillo, parotite e rosolia. Nonostante la ricerca ammettesse chiaramente di non aver potuto individuare un nesso causale (spiegare cioè perché la vaccinazione provocasse la malattia), per Wakefield il gioco era fatto: in una conferenza stampa il medico si lanciò pubblicamente all'attacco del vaccino trivalente, chiedendo che ne venisse sospeso l'utilizzo in attesa di nuove ricerche, e suggerendo di tornare a vaccinare singolarmente per ognuna delle tre patologie.
Qualche anno più tardi il giornalista investigativo Brian Deer scoprì che prima di pubblicare il suo studio Wakefield aveva registrato una richiesta di brevetto per un nuovo vaccino contro il morbillo, pensato proprio per contrastare i rischi gastrointestinali che sarebbero poi emersi dalla ricerca; con le sue ricerche Deer scopri, inoltre, che Wakefield aveva modificato i dati della ricerca, in modo che confermassero le sue ipotesi (tre dei bambini che nello studio venivano presentati come autistici non avevamo in realtà mai ricevuto una diagnosi e cinque avevano mostrato segni di disturbi neurologici già prima della somministrazione del vaccino).
Ma come sperava di trarne profitto il Wakefield da questa bufala?
Deer scopri che Wakefield stava sviluppando insieme al padre di uno dei bambini dello studio un kit diagnostico per la nuova malattia inventata da Wakefield stesso da cui, stando alle indagini del giornalista, sperava di guadagnare almeno 43 milioni di dollari all'anno.
Purtroppo il danno era fatto e, malgrado i ripetuti appelli di comunità scientifiche internazionali il numero di persone che non fanno vaccinare i propri figli ogni anno aumenta e stiamo perdendo quello che i virologi chiamano "Immunità di gregge". Quando in una popolazione il 95% dei suoi membri risulta vaccinata contro una determinata malattia anche i soggetti che non sono vaccinati ( perché magari non possono esserlo) risultano tutelati in quanto si riduce la circolazione del virus o dei batteri responsabili della malattia.
La "nuova medicina germanica" o "metodo Hamer" è un'altra bufala che, nata prima di internet, ha trovato linfa vitale nei blog nei forum di medicina alternativa.
Nel 1986 un tribunale tedesco ha revocato al suo inventore (Ryke Geerd Hamer) la licenza per praticare la medicina, con una sentenza riconfermata nel 2003. Hamer è stato,inoltre, condannato più volte per esercizio abusivo della professione medica e frode e ha trascorso molti mesi in carcere in Germania e Francia.
Secondo i principi del "metodo Hamer" ogni malattia è causata da un conflitto che coglie l'individuo alla sprovvista; se c'è una risoluzione del conflitto, ogni malattia procede in due fasi, una con conflitto attivo e una di guarigione; esiste una correlazione tra psiche, cervello e organo malato dal punto di vista evoluzionistico; i microbi hanno un ruolo nell'evoluzione e sono in relazione con i tre foglietti embrionali da cui hanno origine gli organi.
Secondo Hamer ogni malattia è causata da un conflitto di tipo psichico, e la guarigione di qualsiasi malattia passa attraverso la risoluzione di quel conflitto.
Inutile dire che la teoria alla base del "metodo Hamer" non ha nulla di scientifico, e anzi contraddice molto di ciò che si sa essere dimostrato sul funzionamento del corpo umano e sullo sviluppo delle patologie tumorali.
Dopo uno studio attento il "Gruppo di studio per i metodi complementari e alternativi nel cancro" e la "Lega svizzera contro il cancro" non hanno trovato alcuna dimostrazione che le asserzioni di Ryke Geerd Hamer siano corrette, o che il metodo di cura del cancro che promuove sia efficace.
Nel 2001 è stato condotto uno studio da un gruppo di esperti riunito sotto l'egida delle due società scientifiche svizzere di oncologia e dell'Istituto elvetico per la ricerca oncologica applicata che si è concluso con questa raccomandazione:"Siamo contrari all'impiego di questo metodo nella terapia dei tumori".
All'identica conclusione è giunto il gruppo di ricercatori francesi dell'Istituto nazionale per la salute e la ricerca medica (INSERM) che nel 2011 si è concentrato sulla "biologia totale" - molto simile al «metodo Hamer» - promossa dall'ex medico francese Claude Sabbah.
Espressioni più forti sono state usate dall'oncologo americano David Gorski, direttore della Divisione di chirurgia della mammella alla Wayne State University School of Medicine di Detroit, in Michigan che, al termine di una dettagliata disamina pubblicata sul sito della Società per la medicina basata sulla scienza, l'ha definita una "pericolosa ciarlataneria".
In Italia nel 2016 si sono registrati almeno 2 casi saliti alle cronache di donne che hanno rifiutato di seguire i metodi classici per curare il tumore per affidarsi alla nuova medicina germanica, e che poi sono morte.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il 30 ottobre del 1938 Orson Welles spaventò molti radioascoltatori con uno sceneggiato radiofonico, che simulava un invasione aliena. E' difficile immaginare che un radiodramma possa provocare un tale equivoco oggi, quando le persone possono controllare velocemente le ultime notizie sui loro smartphone, tablet e PC, ma internet, come la radio nel 1938, è una Media "relativamente giovane".
Tra i rischi presentati nel rapporto "Global risks 2013", uno dei primi rischi che viene presentato come tale è la "digital wildfires" (la pubblicazione di false informazioni o fuorvianti).
Come nel '38 ai giorni nostri Internet ha acquistato una grande importanza per la diffusione delle informazioni, tanto che spesso vengono citati dagli stessi giornalisti, Tweet pubblicati come fonte della notizia.
La libertà di espressione non ha mai raggiunto vette simili a quelli di oggi, ma questa libertà è abusata da ciarlatani che un giorno si svegliano e creano una pseudoscienza populistica che viene diffusa online.
Una volta si diceva "l'ha detto la televisione quindi è vero!" adesso se una cosa è scritta online e viene ripostata da 10,100, 1000 persone diventa vera anche se non lo è. Creiamo la verità, la conoscenza e la pseudoscienza.
A settembre 2016 la notizia che Facebook e Twitter si sono coalizzati nella "First Draft Coalition ", per creare una piattaforma di verifica delle notizie e l'adozione di un codice di condotta, e a dicembre Facebook ha annunciato l'arrivo del bottone per sengalare le bufale; l'opzione comparirà tra quelle già esistenti nella segnalazione dei post e si aggiungeranno nuove azioni (bloccare o avvisare l'autore, contrassegnare il post). Il controllo poi avverrà all'esterno, presso le organizzazioni aderenti all'International Fact-Checking Network (IFCN).
Qualora fossero verificate come false, saranno segnalate appositamente su Facebook come "controverse", con link a un articolo che spieghi perché. La notizia resterà comunque condivisibile, ma gli utenti saranno avvisati ogni volta che proveranno a farlo.
A questo punto mi domando quante persone ancora condivideranno tutto quello che leggono senza vagliare prima la fonte o la notizia.
Ma qualunque sia il metodo che si svilupperà per il futuro bisogna sempre ricorcarsi che SIAMO NOI i primi censori di noi stessi.