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11/12/2023

Codice ATU-3, “The Dragon Slayer”, ovvero “Il cacciatore di draghi”.

by Matteo F.M. Sommaruga

Tal genere di racconti vede l’eroe, di solito un prode cavaliere, affrontare un mostro minaccioso, usualmente un drago. L’essere orrendo ha la peggio.

 

Titolo così come suggerito da Chat GPT 3.5, “Magnum’s Firestorm: Legends of the Dragon Hunt”

 

Titolo così come scelto dal sottoscritto: “Il commissario Magni e il drago di Portofino”.

 

In un passato non così tanto remoto, nel corso della mia vita millenaria, decisi di piantare le mie radici sui dirupi che circondano il Golfo del Tigullio. L’aria di mare giova alla salute, si diceva fin d’allora, e difatti mi fu facile abituarmi alla quiete della cosa ligure. Al mattino passeggiavo indisturbato lungo i caruggi del Borgo, acquistavo una copia del Corriere Mercantile e abbinavo il dolce delle brioche con il salato delle focacce. Mi svegliavo di buon mattino, per godere della salsedine diffusa nell’aria. Respiravo a pieni polmoni e apprendevo la simpatica parlata locale dai mugugni dei negozianti e delle mamme che accompagnavano i bambini a scuola. I turisti russi e le eleganti signore della borghesia milanese, di prima mattina, erano ancora tra le coperte a smaltire le fatiche della sera. Abitudini assimilate anche dal sciô Magni, un detective che, reduce dalla missione italiana in Libano, era ritornato nella terra natia, si era fatto a palassinna e o giardinétto, infine aveva aperto una propria agenzia.

 

Il sciô Magni aveva ben presto abbandonato ogni aspetto marziale e di fatto campava a ruota dei ricconi che a Portofino dicevan di trascorrere le vacanze. Perché tra loro c’era anche chi, come Mr Higgins, fingeva di custodire una villa enorme per conto di un misterioso proprietario. In realtä avevano intestato tutto a delle società di comodo per evitare accertamenti fiscali.

 

Mr Higgins era uno dei migliori amici di sciȏ Magni ed era colui che più frequentemente lo coinvolgeva in nuove avventure. Quell’inverno non accadeva però nulla e il sciô Magni si stava annoiando, al pari della maggior parte degli agiati pensionati di Santa Margherita. “Non ne avete di nuove avventure da raccontare?”, gli chiedevano Luigi Tabacante e Mario Massacani, abituali frequentatori del lounge bar sulla piazzetta. “Nu ghe n’è”, rispondeva sciô Magni con tono afflitto.

 

Fu proprio in quel momento che i tre furono scossi da un rumore misterioso, un boato fastidioso come il motore di un aeroplano che a stento riesce a carburare. Il fragore fu accompagnato dalla voce acuta di sciâ Etta, la titolare del forno di un caruggio laterale. “Sciô Magni, Sciô Tabacante, Sciô Massacani, ma ditemi che non sono del tutto ammattita. Avete sentito anche voi quel rumore?”. I tre si premurarono, in coro, di garantire che la sciâ Etta non aveva le traveggole, aggiungendo che dovesse trattarsi di un fuoribordo o di un velivolo di un foresto, con il motore non del tutto in regola. “Ma non è così. Mi manca davvero qualche rotella”, insistette la sciâ Etta. “Si calmi”, la prese per mano Luigi Tabacante, che era il proprietario del “Barba Baratta”, il lounge bar dove avvenne quel teatrino.

 

In un continuo di esclamazioni, la fornaia sostenne di aver visto anche l’ombra di un drago proiettarsi sulle mura di fronte alla sua bottega. Ne era certa, perché il proprietario di quell’edificio, che era una gran pigna, attaccata ai propri denari più che ai propri figli, si era deciso di dare il giancu dopo decenni di insistenze di tutto il vicinato ed ora su quella parete ci si sarebbe potuto proiettare anche un film.

 

Sciô Magni, il cui intento era finire la colazione senza essere disturbato, assicurò la sciâ Etta che se ne sarebbe occupato lui del caso. Chiese però il tempo necessario per riflettere e digerire quel che aveva ingollato. La donna fu così felice che portò al piccolo gruppo un pacco di carta unta e bisunta, contenente un chilo di fûgasse fresche di forno.

 

Sciô Magni ringraziò, degustò e, preso commiato anche dai due amici, se ne andò in direzione della villa di Mister Higgins. Costui era un cliente abituale dell’agenzia di sciô Magni, ma al tempo stesso accoglieva spesso e volentieri il detective per portar consiglio sulle indagini che pur non lo coinvolgevano direttamente.

 

Nel microcosmo di Portofino, Mr Higgins era visto come una sorta di Gran Visir, o di Mago Saggio, ammirato in tutto il viaggio per la sua ampia conoscenza. C’era anche chi sosteneva fosse un contamussa, che la maggior parte dei suoi aneddoti fossero inventati di sana piante. “Anche in quel caso bisogna riconoscergli una fantasia senza limiti”, rimarcava sciô Magni. Il quale provava una sorta di ironica ammirazione per il proprio principale cliente.

 

Sciô Magni citofonò all’ingresso dell'imponente villa del turista britannico, prestando ben attenzione a non premere sul pulsante sbagliato. La villa difatti era stata divisa in una dozzina di appartamenti, uno quei quali acquistato da Mr Higgins con la vendita del suo bilocale di Londra. “Oh, sciô Magni, prego, si accomodi, la stavo aspettando”, esclamò Mr Higgins non appena il detective raggiunse il suo pianerottolo. “Non mi dica che non ha preso l’ascensore perché guasto. Avrei potuto provvedere io a farlo entrare dal poggiolo, inviandole il mio tappeto fatato.”

 

Il pensionato londinese era anche un mirabile mago, non un prestidigitatore, ma uno stregone fatto e compiuto, che attingeva i propri poteri da un enorme volume che troneggiava nel salotto di casa. Era uno dei pochi, quell’uomo, ad aver praticato con successo le scienze arcane nel Ventesimo secolo. “Lei, sciô Magni, ha una mente troppo razionale per accettare la magia, ma è un dato di fatto che ci abbia tratto d’impiccio in molte occasioni”, commentò Mr Higgins, aggiungendo un leggero colpo sulla spalla dell’investigatore. Il quale ripetè, punto per punto, i vagheggiamenti della sciâ Etta e la reazione dei suoi amici. “Eppure il boato, l’abbiamo sentito tutti. E abbiamo pensato al motore malfunzionante di un foresto, perché l’ipotesi di un drago nella piazzetta di Portofino ci è sembrata al di fuori della comprensione della mente umana”, concluse sciô Magni.

 

“Ecco, ha detto bene. Voi umani siete ben limitati. Non che io non appartenga alla categoria, ma almeno io alle arti magiche credo. E credo anche a quel drago. Anzi, guardi fuori dal poggiolo, sortisca pure e sgrani gli occhi ammirando l’incanto del cielo.” Sciô Magni si avviò a grandi passi verso l’esterno. Al di là del paesaggio davvero unico che, al tramonto, nel tardo pomeriggio di Novembre, il golfo del Tigullio possa offrire, il detective vide stagliarsi, sullo sfondo rosso all’orizzonte, la sagoma di un enorme drago. Il quale, tra i propri artigli, reggeva quella che pareva essere la sciâ Etta.

 

“Mirabile”, proferì sciô Magni lasciando cascare a terra il cubano che, per darsi un tono, teneva sempre in bocca. Senza mai accenderlo, però, perché l'investigatore, come del resto tutti in paese, era una gran pigna e i sigari costano palanche.

 

Mr Higgins osservò, scuro in volto, la sagoma del detective. Era consapevole che avrebbe dovuto affrontare almeno tre prove ardimentose per liberare la povera sciâ Etta dal drago. Tutti in paese le volevano bene e, siccome non si era mai sposata, poteva in un certo senso essere vista come la Principessa di Portofino. “Anche nel nostro secolo sgangherato, i cavalieri devono correre a mettere in salvo le principesse”, commentò presto Mr Higgins. “Caro Tommaso”, giacché Tommaso era il nome di battesimo dell’investigatore, “ne vedrai delle belle, ma so che il tuo cuore è sincero e ti mostrerai all’altezza della tua missione”.

 

Sciô Magni, che di solito mostrava invece un sorriso smagliante su un volto paonazzo, per il sole e per il buon vino, in quel frangente assunse una posa marziale e, non avendo una visiera da calare sulla fronte, si sistemò il berretto da baseball. “Ora lasciamo riposare. Avremo tempo per recuperare la povera Etta. Devo ricorrere a tutte le mie energie per adoperare i poteri arcani del libro”.

 

Il detective non vide più, di fronte a se, la figura di un modesto, ma elegante pensionato, bensì il profilo di uno stregone, imponente e temibile. Si sentì raggelare i muscoli, mentre tutt’intorno calavano le tenebre. Quel che accadde poi fu nella mente dell’investigatore privato un vago ricordo. Si risvegliò nel letto di casa, assistito dagli amici, sciô Tabacante e sciô Massacane. I due fedeli compagni di bevute gli raccontarono della scomparsa della sciâ Etta e di come Mr Higgins li avesse ragguagliati sulla presenza del drago misterioso.

 

Una creatura sorta dagli inferi, che sarebbe potuto essere sconfitto solo se affrontato durante una notte di luna piena, trafitto da un metallo illuminato dai raggi di Selene. Sciô Magni sostenne che i due stessero farneticando. Si era difatti convinto di esser stato preda di un’allucinazione, ed ora si era messo in testa che i due si stessero burlando di lui.

 

Sciô Tabacante, abituato a convincere i clienti occasionali che il listino del suo lounge bar fosse ragionevole, impiegò tutto il pomeriggio per ottenere la fiducia del detective. Il quale mantenne un certo scetticismo, ed era perlopiù curioso di capire fin dove i suoi amici si sarebbero spinti. Egli avrebbe desiderato essere un cavaliere in grado di affrontare un drago alato, soprattutto nelle sue fantasia di bambino e forse persino di adolescente. Diventato adulto, sciô Magni si era accontentato di diventare un investigatore privato che scorrazzava a bordo di una Topolino rossa nel golfo del Tigullio.

 

Volle però stare allo scherzo e chiese ai suoi compari di accompagnarlo sul monte Righi per verificare sul luogo se quanto raccontato non fosse il frutto di pura fantasia. “Non è che abbiamo anche un lungo coltello da qualche parte?”, si assicurò sciô Magni. Sciô Tabacante si ricordò a quel punto di aver in casa una katana giapponese, dono di alcuni clienti fissi dopo una crociera in oriente. L’aveva tenuta ben nascosta in un armadio, un po’ perché la considerava kitsch, un po’ perché temeva che prima o poi la sua mugliera gliel’avrebbe tirata in testa durante uno scatto d’ira. Se sul Righi ci fosse stato un drago, quella lama sarebbe stata della misura giusta.

 

A tal proposito i tre furono d’accordo e, chi scettico, chi titubante, chi seriamente preoccupato, si accalcarono a bordo della FIAT color ciliegia. Non ebbero percorso che alcuni tornanti, che dalla montagna iniziarono a levarsi dei boati disumani. Il sole era già calato al di là del mare e la notte era  buia, poiché le nuvole avevano ricoperto la luna e le stelle.

 

Non si riusciva a vedere granché all’interno dei boschi e persino le luci dell’hotel erano spente, giacché era proprio il periodo di chiusura prima della stagione invernale e della festa di capodanno. I boati si facevano più frequenti ed anche più intensi. Gli aghi dei pini sembravano flettersi con tutto il ramo sotto la pressione dello spostamento d’aria. I tre giunsero nel parcheggio dell’hotel, quella dove in estate si affollavano le automobili dei villeggianti venuti da Milano. Poiché i genovesi, che erano di scorza ben più dura e non amavano consumar l’essenza, preferivano arrivarci con i cavalli di San Francesco. Persino quel Santo avrebbe però trovato difficile placare l’animale che si parava loro di fronte.

 

Soprattutto dal momento in cui il poverello d’Assisi si rivolgeva alle creature del Signore, ma quel mostro era stato forgiato dalle fiamme dell’inferno. Le stesse che sputava nella direzione della Topolino. Un enorme drago viola si eresse di fronte alla minuscola automobile, la pancia giallognola illuminata dai fari del veicolo. Il quale, a corto di carburante e prostrato dalla fatica della salita, di colpo emise dei suoni buffi dal motore e, altrettanto improvvisamente, si spense. “Pigna di una pigna”, imprecò sciô Massacane, che spesso ripeteva che delle automobili bisognava prendersene cura, per quanto costasse portarle dal garagista.

 

Sciô Magni e sciô Tabacante si erano però già allontanati nella boscaglia e a sciô Massacani non rimase che dileguarsi. Fu a quel punto che il detective si ricordò di aver dimenticato nel bagagliaio la katana di sciô Tabacante. Forse più perché frastornato dai boati del drago che per un atto di coraggio, sciô Magni ritornò sui propri passi per raggiungere la Topolino.

 

Quanto seguì fu repentino e frutto del caso. L’investigatore privato, impugnata la katana tra le mani, la sguainò così come aveva visto fare ai samurai nelle rappresentazioni di Madame Butterfly. Il drago, altrettanto velocemente, si scagliò su di lui. In quello stesso istante le nuvole si scostarono lasciando passare i raggi di Selene, che colpirono dritto la lama impugnata da sciô Magni. Costui non dovette scostarsi di un millimetro, perché il drago si infilzò da solo, in un orribile hara-kiri. Il bestio si contorse per la piana del parcheggio, di fronte agli occhi sgomenti di sciô Tabacante e sciô Masacani.

 

La sciâ Etta corse fuori dall’hotel, la cui porta di ingresso era stata scardinata dalla furia del mostro. La fornaia confermò di essere stata rapita dal drago, ma, messa sotto pressione delle continue domande dei suoi soccorritori, rivelò financo di essere una principessa in esilio.

 

Mr Higgins confermò il tutto nei giorni seguenti: il sangue reale della sciâ Etta. Che in realtà si chiamava Anastasia, così come la padronanza delle arti magiche, alchemiche e divinatorie. Egli stesso era difatti un potente mago, almeno lo era stato, in passato, prima di scegliere il Golfo del Tigullio per allontanarsi da quell’aura di sciagura che perseguita chiunque abbia deciso di coltivare le scienze occulte.

 

Essendo la sciâ Etta avanti con gli anni, ben più di quanti ne avesse il sciô Magni, la principessa e il cavaliere che l’aveva salvato non si sposarono. Si festeggiò comunque, per un mese intero, al lounge bar di sciô Tabacante con le migliori trofie, pesto e fûgasse che la Liguria potesse offrire.

 

Io ero là a vedere, ma dal momento che mi consideravano un foresto, nulla me ne diedero.

 

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