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26/12/2023

Codice ATU-4, “The fisherman and his wife”, ovvero il pescatore e la moglie

by Matteo F.M. Sommaruga

Codice ATU-4, la storia è conosciuta come “The fisherman and his wife”, ovvero il pescatore e la moglie. Un pescatore cattura un pesce fatato che gli permette di esaudire tutti i propri desideri. La moglie però non si accontenta né di potere né di ricchezza e la sua avidità porta al disastro. Non sono riuscito a forzare Chat GPT 3.5 a rendere la trama non politicamente corretta. Sono riuscito solo a ricavare, per il titolo: “Patriotic waves: a fisherman’s allegiance”, dove il protagonista è un leale sostenitore di Donald Trump. Ho preferito sceglier per conto mio, con il titolo: “Antonio e il pesce fatato”.

Non molto tempo fa, in una delle tante cittadine dell’Alta Brianza, viveva, in un casolare ristrutturato, un uomo di nome Antonio. Mi è impossibile affermare che Antonio fosse un pescatore, ma di certo era una persona dai numerosi talenti.

Si era trasferito da Napoli nel Nord Italia quando era ancora ragazzino, per aiutare un lontano zio titolare di un’impresa edile. Oltre a una certa abilità con i mattoni, il mio amico Antonio dimostrò di essere anche un bravo idraulico, ma non mancò neppure di rivelare ottime doti ai fornelli. Fu così che si trovò a lavorare per diversi anni nelle cucine dei più rinomati ristoranti sul lago di Lecco.

Il tempo per Antonio, così impegnato in molteplici professioni, scorse talmente in fretta che egli raggiunse l’età della pensione senza nemmeno accorgersene. E di lui non si accorsero neppure gli istituti previdenziali, giacché il mio amico Antonio non ebbe mai, per l’intera vita, il privilegio di un contratto di lavoro regolare.

Egli si ritrovò in tal modo a dover sopravvivere con il minimo delle entrate, e allo stesso tempo a provvedere anche alla bella Teresa. La quale era sua moglie e, da giovane, era considerata la donna più avvenente di tutto il lago del Segrino. Anche lei era però invecchiata e, scomparsa la bellezza, le era rimasta l’ambizione.

Antonio, che con l’età avanzata non aveva però perso l’eclettismo, pur di accontentarla si era improvvisato pescatore e, realizzato l’occorrente con le canne di bambù che spuntavano intorno al lago, si mise a portare a casa ogni genere di pesce.

Talvolta erano delle misere alborelle, talaltra era più fortunato, e nel piatto finiva un pesce persico. La bella Teresa era però sempre scontenta, perché oltre al pesce desiderava, anzi voleva, anche del vino bianco. E della migliore qualità. Antonio non poteva però offrirle che l’acqua della fonte, a dire il vero freschissima e dissetante.

Una sera, la vigilia di Natale, Antonio era particolarmente demoralizzato poiché il lago era ghiacciato e non gli sarebbe stato facile riuscir a portare alla bella Teresa di che sfamarsi. Mentre si arrabattava a cercare di forare la superficie del lago, il mio amico Antonio scorse un pesce dirigersi verso di lui. L’uomo si affrettò a rompere lo strato di ghiaccio pestando forte con le proprie mani, senza pensare che avrebbe potuto spaventare il pesce.


Questi però, non appena si accorse dello spiraglio praticato da Antonio, saltò fuori dall’acqua e si gettò nel retino del pescatore. “Oh che burla è mai questa, ero disperato ed ora un pesce mi salta direttamente nella bisaccia!”, pensò il vecchio. “Non è una burla, ma ora dovrai prendere una decisione”, risuonò una voce nei canneti.

L’uomo si guardò intorno, ma non vide nessuno. “Ora la fame mi gioca brutti scherzi per davvero! Ero povero, ma mi era rimasto un fine intelletto. Ora non ho più nemmeno quello!”, si disse il vecchio. “Se pensi di essere così intelligente, allora capirai che sono io a parlare”. Antonio scrutò con gli occhi l’oscurità del lago, ma non gli rimase che rassegnarsi all’idea che fosse stato il pesce ad aver parlato. “Reggiamo al gioco. Con la follia non si scherza, ma se matto son diventato, tanto vale accettare il mio destino”, pensò il vecchio, che si reputava anche un valido filosofo.

L’uomo, convinto di far bene, e forse per far dispetto, finse di ignorare le parole del pesce, se lo mise nella bisaccia e fece per tornare a casa. Si mise a cavallo della sua vetusta bicicletta, ma non appena compiuta la prima pedalata, sentì di nuovo una voce. Proveniva dalla bisaccia. Era proprio la sua preda a parlare. “Credi che non abbia inteso che tu voglia destinarmi alla padella? Ci rimedierai un buon pasto, ma se ti fossi risolto altrimenti ne avresti tratto maggior guadagno”.

Antonio si fermò per un momento, “Non devo lasciarmi ingannare. È noto che i pesci sono dei gran raccontafrottole!”, pensò. Compiute altre pedalate, di nuovo la voce echeggiò nelle orecchie del vecchio: “O forse sono i pescatori a raccontar le frottole? Non hai mai rischiato alcunché nel corso di tutta la vita, e ricco non sei diventato. Al più perderai un pesce abbrustolito, anzi metà, perché dovrai condividermi con tua moglie”. Antonio si arrestò. La soglia di casa era distante solo poche decine di metri. “E come sai tu che io son sposato? Sei forse un pesce fatato? Va bene, mi hai convinto con la tua parlantina!”, esclamò Antonio, il quale voltò il velocipede e ritornò sulle sponde del Segrino, ben attento a non incrociare alcuno che potesse riconoscerlo.

In prossimità dell’acqua, incerto e in preda al rimorso, il vecchio aprì la bisaccia e restituì l’animale alla natura. “Sei un cervello fino”, gli disse il pesce facendo capolino dalla superficie del lago, “Ora quel che desideri, l’avrai”. Poi sparì.

Antonio si sentì smarrito, poiché si sarebbe aspettato perlomeno un anello magico da strofinare. Non aveva mai sentito di desideri espressi e realizzati con la mente, senza il tramite di un oggetto. La luna illuminò in quell’istante la sua bicicletta, un po’ sporca e maltenuta, oltre che datata. Antonio, cosciente del gran dono della propria intelligenza, comprese all’istante che quel biciclo dovesse fungere da catalizzatore della propria fortuna. Si tolse di tasca il fazzoletto, che pur era stato utilizzato più volte nel corso della giornata, e lo impiegò per pulire il sellino. Poi chiuse gli occhi e si immaginò un cesto di dolciumi e di salumi recapitato al suo indirizzo.

“Dono di vecchi colleghi”, aggiunse il vecchio, non volendo rivelare alla moglie la fonte della propria fortuna. La quale lo attendeva impaziente proprio per mostrargli quanto le era stato appena recapitato. “Ah che gioia e che combinazione! Questa sera il lago era ghiacciato e non sono riuscito a prendere all’amo neppure un’alborella”, mentì Antonio. La Teresa non si mostrò però così gentile: “Non ci hai pensato tu, ma lo han fatto i tuoi ex colleghi. Vedi che te lo dicevo, l’importanza di mantenere le relazioni!”.

Il vecchio non vi prestò attenzione, in parte incredulo in parte desideroso di verificare che la promessa del pesce fosse stata mantenuta. Volle cercare una scusa per tornare sulle sponde del lago e ringraziare quella cara bestiola, ma l’appetito lo trattenne a tavola. Erano mesi che si nutriva solo di pesce e di verdure. Una dieta sana, ma piuttosto noiosa se ripetuta forzosamente.

La Teresa si riservò i bocconi più delicati, ma Antonio era raggiante di gioia premurandosi di nascondere nella tasca dei pantaloni qualche fruttino di marzapane e di frutta candita. “Antonio, è un vero miracolo. Ora ascoltami, prendi queste bottiglie di spumante e portale alla perpetua di don Ambrogio. Serviranno ad estinguere quei piccoli prestiti che ogni tanto ci concede e, siccome è generosa, ricambierà con qualcosa di maggior valore”. Il vecchio non poté che obbedire alla moglie, giacché di tutte le mirabili doti in suo possesso, gli mancava il carisma.

L’uomo prese la bicicletta, si recò fino alla parrocchia, dove le luci erano ancora accese perché ci si preparava alla Santa Vigilia, e suonò alla porta. Gli aprì la perpetua, “Don Ambrogio non c’è, è già in chiesa. Avete bisogno di qualcosa di urgente?”, chiese ad Antonio la povera donna. Il vecchio le donò le bottiglie a nome della moglie, spiegando di averne ricevuta in dono una grande quantità e volerle condividere. La perpetua, che ben conosceva la parzialità di don Ambrogio per il buon vino, accettò con un sorriso l’inaspettato regalo e salutò, chiudendo frettolosamente l’uscio dietro di sé.

Antonio neppure si accorse del lieve sgarbo della donna, riprese la bicicletta, diede una spolverata al sellino e si riavviò verso casa. “Cosa si aspetterà mai la Teresa questa volta? Oh caro signor pesce, o prezioso velocipede, lascia comparire nelle mie tasche tre biglietti della pesca dell’oratorio, ma di quelli vincenti”, pensò il vecchio. Questa volta con un certo impegno mentale, percependo la solennità del momento.

Una volta di nuovo fra le sue quattro, non troppo fredde mura, Antonio abbracciò la moglie e le mostrò i tagliandi della riffa parrocchiale. “Abbine cura, il primo, il secondo e il terzo premio saranno nostri”, esclamò con sicurezza l’uomo. La Teresa lo squadrò da capo a piedi, poi, accennando un sorriso sardonico, gli rispose: “Va bene, va bene. Non abituarti troppo a giocare d’azzardo. Quelle bottiglie erano di spumante buono, auguriamoci siano state ben impiegate”.

La coppia non più giovane si sistemò sul divano. I due presero da uno scaffale un libro da leggere ad alta voce, alternandosi l’uno all’altro al termine di ogni capitolo. In assenza di radio e di televisione, che per i due erano diventati beni di lusso, Antonio e Teresa si dovevano accontentare dei classici in prestito dalla biblioteca comunale.

Venne il giorno di Natale e i due anziani sposini si affrettarono a raggiungere la parrocchia. Alla Santa Messa sarebbe seguita la tavolata di beneficenza, a base di polenta e salamelle, delle quali Antonio era ghiotto. Soprattutto le cibarie erano gratuite per i poveri del paese. Il vecchio era però ansioso del risultato della lotteria.

“Biglietto numero 1257. Il terzo premio, una radio del designer celeberrimo, è assegnato al signor Antonio!”. La Teresa, che poco aveva apprezzato lo scambio della sera precedente, strabuzzò gli occhi e mollò la salamella che stava per addentare. “Biglietto numero 0756. Il secondo premio, un televisore di marca raffinatissima, è assegnato al signor Antonio!”, ruggì di nuovo l’altoparlante. La Teresa sorrise timidamente nella direzione dei commensali. Gli occhi erano tutti puntati su di loro. “Biglietto 1111. Il primo premio, un motorino elettrico con ricarica gratuita per dieci anni, è assegnato al … “. Antonio divenne rosso in viso, realizzando solo in quell’istante di come l’intero paese stesse puntando gli occhi dritti su di lui. “Sa la sorte … la fortuna … il fato ..”.

La Teresa non si capacitava di quale artifizio si fosse servito il marito per vincere i tre premi più ambiti. “Lo dicevo io che le estrazioni sono truccate”, pensò la vecchia comare. Antonio si affrettò ad abbandonare la tavola, per tornare a casa sulla vecchia bicicletta. “Prendi tu il motorino, io il mio antico velocipede non lo lascio per nulla al mondo”, disse l’uomo alla Teresa. La quale, contenta del risultato ottenuto, non pose ulteriori questioni e si mise alla guida del motorino sperando di essere in grado di condurlo fino a casa.

I due si affrontarono nell’enorme locale che fungeva al contempo da salotto, cucina, sala da pranzo e camera da letto. Il bagno e la lavanderia, unico loro lusso, erano al piano di sotto, a fianco della cantina che poi era anche l’autorimessa. “Ti assicuro che è la verità! Se non vuoi credermi te ne darò prova!”, concluse Antonio la sua narrazione, dal suo incontro con il pesce miracoloso ai suoi esperimenti con il sellino della vecchia bicicletta. “Se non menti e sei sincero, allora premurati di trovarmi un nuovo tetto sotto cui dormire. Di questa topaia ne sono ben stanca!”, proruppe la moglie con una nuova versione del suo ghigno.

Antonio si mise il cappotto, uscì di casa, che era ben tenuta e, pur modesta, non era poi una stamberga, e si avvicinò alla bicicletta. Di nuovo ne strofinò il sellino e pensò intensamente al suo appartamento dei sogni. Ne ricordava uno in particolare, in quel di Seregno, dove aveva aiutato a risistemare le piastrelle. Si sarebbe dovuto allontanare dal lago del Segrino, ma avrebbe potuto raggiungerlo anche tutti i giorni a bordo della nuova motoretta rosso fiammante.

L’uomo non rivelò alla moglie i dettagli del proprio desiderio. Il giorno seguente non vi fu alcuna novitä in merito e la Teresa iniziò a dubitare che il marito, con la complicità della perpetua e di qualche generoso parrocchiano, non si stesse burlando di lei.

Il ventisette dicembre furono però contattati dal notaio Galbiati per un lascito che li rendeva proprietari di un attico al sedicesimo piano di via dei Giardini, a Seregno. Il lascito avrebbe consentito loro di coprire tutte le spese necessarie, ristrutturare l’appartamento dotandolo di tutti i comfort e scegliere i mobili della migliore scuola di arredamento italiana. Teresa, in un impeto di felicità, abbracciò il povero Antonio. Il quale si sentiva ancor più imbarazzato poiché da anni la consorte non lo degnava del minimo gesto di affetto.

Trascorsero le settimane e i mesi. Antonio e Teresa si trasferirono nella nuova abitazione e si sbarazzarono della loro vecchia dimora. Antonio avrebbe desiderato tenerla, almeno per trascorrervi la villeggiatura nei mesi più afosi dell’anno e poter mantenere il contatto con gli amici del paese. “Li andrai a trovare sulla motoretta”, gli ripeteva Teresa e Antonio si mise il cuore in pace.

La consorte desiderava però anche una villa per le vacanze. “No, non ho alcuna intenzione di passare il ferragosto in una pensione affollata della riviera romagnola. Deve essere una maison di charme, sulla costa azzurre, a Ramatouelle, immersa nella pineta, vicino alla spiaggia, con una piscina riscaldata per farvi il bagno la sera tarda di ritorno da St. Tropez”. La Teresa aveva iniziato a intercalare nei propri discorsi, termini e frasi in francese. Ora che abitava a Seregno, una città di quarantacinquemila abitanti, voleva essere all’altezza della conquistata posizione sociale. Antonio non pensava fosse giusto approfittarsi a tal punto del dono concessogli dal pesce fatato, ma, affezionato qual era alla sua comare, la accontentò.

Occorse anche un desiderio ulteriore, che concedesse alla coppia un’elegante automobile decappottabile per poter raggiungere la costa azzurra nei mesi estivi. “Che abbia gli interni in pelle e un impianto stereo sul quale riprodurre la mia raccolta di dischi in vinile”, pensò il vecchio. Il bolide gli fu recapitato in pochi giorni, omaggio di una misteriosa fondazione internazionale a sostegno della qualità della vita dei pensionati napoletani nel mondo.

La Teresa non fu soddisfatta poiché sentiva il bisogno di abiti nuovi di un certo ammontare di valuta contante per esibirsi lungo le vie degli acquisti di St. Tropez. “Sulla spiaggia si usa pagare con banconote fruscianti. È maleducazione ricorrere alla carta di credito”, continuava a ripetere la vecchia comare. Finché Antonio non si decise di esprimere il desiderio e dare una stronfinatina al sellino della vecchia bicicletta. La quale non era più tenuta in cantina, ma appesa alla parete dell’attico di via dei Giardini, come un antico cimelio e secondo la moda dei giovani hipster di Berlino.

Anche questa volta il desiderio venne esaudito. L’anziano pensionato si trovò persino sulla prima pagina dei giornali locali per aver recuperato casualmente la refurtiva di una grossa rapina in banca. Gli fu concesso di tenerne ben un quinto, cifra più che sufficiente per non sfigurare tra gli habitué della spiaggia di Pampelonne.

A tanto lusso il povero Antonio non era abituato e il suo imbarazzo cresceva di pari passo con le pretese della consorte. Queste divennero incontenibili una volta raggiunta la Francia, poiché, visti gli yacht ormeggiati nella cala di St Tropez, la donna ne volle possedere subito uno. Non fu disattesa, ma mentre una sera osservava il tramonto, seduta comodamente nel salottino di poppa dell’imbarcazione, la Teresa si trovò circondata da un nutrito gruppo di banditi. Antonio venne scaraventato in acqua. Per via del suo fare umile e dimesso era stato scambiato per un inserviente.
Il tapino riuscì perlomeno a raggiungere la riva a nuoto e, seduto sulla spiaggia dorata, gli parve di non sognare altro che trovarsi nella sua casa di Alserio, ai bordi del lago del Segrino. Avrebbe desiderato piangere, ma non era appropriato per un uomo, soprattutto per un agiato signore della sua età. Quando stesse per alzarsi, risoluto a chiedere l’intervento della polizia, Antonio notò un pesce sbucare dalla superficie del mare.

“Sei tu, mio pesciolino? Sarebbe ingiusto sostenere che tu sia la causa dei miei mali, ma desidero tanto d’averti fritto in padella”, proferì il vecchio con una voce fievolissima, quasi un sussurro. Il pesce gli saltò tra le braccia e agitò la coda per indicargli il bivacco di un gruppo di giovani campeggiatori. L’uomo vi si avvicinò e, a malincuore, apprezzando il sacrificio dell’animale, offrì la sua preda in cambio di un posto intorno al fuoco.

Il pesce finì in padella e la vista di Antonio iniziò ad affievolirsi, rapita dai giochi della fiamma. Il vecchio chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, si ritrovò nella casa di Alserio, intorno a una tavola imbandita di ogni leccornia. Era il dono della parrocchia ai poveri del paese, affinché potessero celebrare serenamente il Santo Natale.

Il vecchio gustò con grande gioia ogni boccone, ma non accennò alla moglie alcun dettaglio del suo lungo sogno. La Teresa gli sorrise come da tempo non aveva mai fatto, e quella sera i due si addormentarono sul divano, sotto le coperte, leggendo il Canto di Natale di Dickens.

Di lasciarmi gli avanzi, se ne dimenticarono.

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