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5/3/2024

odice ATU-6, è la favola dell’uomo che vola.

by Matteo F.M. Sommaruga

Codice ATU-6, è la favola dell’uomo che vola. D’acchito penso al mito di Icaro, non ricordando altre celebri favole con tale tema. Forse Aladino sul tappeto volante, benché non riesca a contestualizzare. Secondo le informazioni raccolte da Chat GPT, l’eroe dovrebbe ricevere un potere sovrannaturale, quello del volo, e grazie a tal dono trovarsi in grado di concludere la sua quête. Lasciamo dunque spazio alla fantasia e iniziamo a volare sulle sue ali. A Chat GPT non ho chiesto altro. La favola, con il titolo da me designato, è dunque: “Le ali di marmo di messer Pierino”.

 

Non molto tempo fa, in una villa sulle colline toscane, viveva messer Pierino. Egli era un uomo di mezza età, mezza statura, ma di mezzi abbondanti. La sua dimora vantava un giardino di non so quante pertiche e dei campi, coltivati a vite, farro e orzo assai più ampi. L’acqua abbondava nella sua tenuta, tanto da avervi fatto realizzare una cisterna di marmo, dove potersi bagnare durante i mesi estivi. Quando giungeva l’inverno e un manto di neve copriva le colline, quello specchio d’acqua gelava, offrendo un semplice svago ai figli della servitù. Messer PIerino non amava il gelo e trascorreva intere giornate, durante i mesi più bui, a fianco di un enorme camino leggendo e rileggendo i volumi della sua biblioteca.

 

Talvolta preferiva concentrarsi sulle sole illustrazioni, poiché, nella solitudine di quelle stanze, la lettura ininterrotta gli dava a noia. Erano litografie e miniature tracciate da abili mani di artisti e artigiani. Molti di questi venivano dai paesi vicini ed erano al soldo della tipografia di messer Pierino. Altri erano invece del tutto sconosciuti al ricco possidente, perché avevano contribuito a volumi prodotti da stamperie di paesi lontani. Cittä e lande che messer Pierino conosceva solo per i differenti stampi o filigrane sulla carta dei propri preziosi libercoli.

 

Talvolta chiudeva gli occhi e, sulla base di un solo dettaglio di quegli emblemi, una corona o un petalo di rosa, sognava di volare fino in quei luoghi, superando le colline e le montagne come se fosse un uccello. Tale esercizio si ripeteva con tale assiduità, che un giorno messer Pierino chiese a Lancillotto Scultore di realizzargli due ali di marmo.

 

“Vossignoria è sicuro di non voler altro? Posso scolpire per lei dei finissimi angeli. Della mia maestria, mi perdoni l’immodestia, se ne parla con lode persino in Vaticano”, propose ossequioso l’artista. “No, non me ne voglia. Io presto orecchi solo alla parlata di un onesto villico senese. Il Vaticano l’è troppo lontano”, rispose messer Pierino con quanto più garbo gli riuscisse di fiatare. Poco aduso alla compagnia di mondo, se non a quanto necessario per condurre i suoi affari, il linguaggio, e i toni, di quel gentiluomo potevano difatti suonare stonati. Non era però sempre burbero. Quando passeggiava tra i suoi campi, osservando i fiori e gli insetti, quando nuotava nell’enorme vasca d’estate, quando leggeva e quando sognava, messer Pierino era un uomo amabile.

 

L’avrebbero tutti definito persino piacevole, se solo avessero avuto occasione di condividere con lui quelle esperienze. Erano però momenti individuali della vita del possidente, che così veniva descritto come un selvatico. Lancillotto Scultore preparò le ali, così come gli era stato detto.

 

Erano un paio di splendide ali, larghe ciascuno un braccio e mezzo e alte tanto quanto il corpo di un uomo. Le venature del marmo risaltavano la forma delle piume. Il materiale era poi elaborato per dotare di leggerezza l’impressione della vista di quella scultura. La quale si reggeva su un piedistallo, anch’esso di marmo, ma rosso e non bianco, come lo erano le ali. A ulteriore sostegno di queste ultime, sopra il capitello, era stata preparata un’intelaiatura in legno, che nell’intenzione dell’artigiano sarebbe dovuta risultare appena percettibile agli occhi di un ideale spettatore.

 

Messer Pierino ne fu soddisfatto e gratificò Lancillotto Scultore con una moneta d’oro. “Messer Pierino, vi ringrazio per la vostra generosità, ma una moneta d’oro è tanto quanto mi è costato il materiale per la scultura. Forse anche il companatico consumato mentre mi dedicato a prepararla, apposta per voi. Ma della mia opera, della mia creatività, non tenete altro conto?”, chiese l’artista, senza mostrare l’irritazione che covava interiormente. “Se il materiale ti è costato tanto, o forse meno, di cosa ti lamenti? L’idea è stata mia e tu l’hai eseguita. La prossima volta mi rivolgerò ad altri”, rispose secco Messer Pierino.

 

Lancillotto Scultore, senza proferire una parola, se ne andò borbottando qualche verbo non intellegibile alle orecchie del proprietario terriero. Costui, noncurante della reazione dello scultore, si rimise ad ammirare le ali di marmo che ora decoravano il giardino. Lancillotto Scultore quella sera si fermò all’osteria prima di rientrare nella sua casa, che era anche la sua bottega. Brindò con un calice di buon vino al compimento e alla consegna di quel che considerava un capolavoro.

 

L’oste fu generoso nel riempirgli il bicchiere: “Che per quel che paga il tuo cliente, dovresti digiunare un anno intero”, commentò ridendo il proprietario della locanda. L’artista sorrise e si guardò intorno domandandosi se quella sera vi sarebbe stata una buona compagnia con cui tener conversazione. Dei suoi soliti compari non vi era traccia, ma uno sconosciuto, necessariamente un forestiero, si era accomodato alla tavola di fianco.

 

Lancillotto Scultore alzò il boccale, l’anonimo avventore ricambiò il saluto. “Siete nuovo della contrada?”, fece l’artista. L’altro annuì con un cenno del capo. “E vi fermate a lungo?”, insistette il maestro scalpellino. “Abbastanza da svolgere i miei affari”, rispose il forestiero, senza dar l’idea di essere scocciato, ma neppure divertito. “E che genere di arte è la vostra?”, insistette Lancillotto, il quale stava per diventare inopportuno. “È un’arte arcana”, ribattè lo sconosciuto senza scomporsi, “Della vostra stessa specie, ma le mie opere hanno il dono di animarsi”.

 

Lancillotto Scultore non proferì parola. Si poteva dire stupito, ma non del tutto incredulo o meravigliato. Aveva difatti sentito raccontare, quando era ancora un apprendista, che i greci antichi avevano perfezionato al punto  la scultura, da consentire al marmo di muoversi e persino fuggire dal proprio basamento. L’artista rimase silenzioso un istante, poi riprese a tormentare l’involontario amico: “Vi credo. Se è vero quel che dite, lasciate che vi offra il pane e il companatico. Se questa notte non avete di meglio, alloggerete nella mia bottega”.

 

Lo straniero fissò negli occhi Lancillotto e produsse un ghigno sul proprio volto. Non aggiunse altro, ma sembrò voler accettare la generosità del compagno di gilda. Il giorno seguente lo sconosciuto compì un’abbondante colazione in compagnia di Lancillotto, poi si fece indicare la via per la magione di Messer Pierino. “Vedrete, mio pregiatissimo collega, sarete ricompensato per l’alloggio che mi avete offerto.”

 

Il viandante avvolse la propria figura in un mantello e partì alla volta della casa padronale. Messer Pierino lo ricevette nella propria biblioteca. Quel giorno era brutto tempo ed era l’ideale per gettare gli occhi sugli antichi incunaboli del maniero. “E cosa proponete, messer artista?”, chiese perentorio il signore della casa, “Non desidero altro che di accontentarvi. A me basta che la mia arte sia apprezzata, e celebrata”.

 

Perino, cui non pareva vero d’ottenere un tal servigio al solo costo del vitto e dell’alloggio, così come era sempre stato nei suoi desideri. Accordò al viandante di trattenersi per un mese intero, al termine del quale l’artista avrebbe dovuto mostrare il proprio valore. Per meglio instradarlo sui propri gusti, Messer Pierino mostrò al forestiero la coppia d’ali consegnata di recente da Lancillotto Scultore. “Queste mi piacciono assai. Se darete forma a un concetto migliore, potrete desinare al mio desco e riposare sotto il mio tetto finquanto vi compiacerà. Purché, s’intende, dedichiate le vostre giornate all’opera e non all’ozio”.

 

Lo straniero non aveva però l’aspetto di un uomo pigro e si limitò a chiedere del materiale sul quale poter applicare la pressione dei propri strumenti. Del marmo non ve n’era, lo si sarebbe dovuto ordinare. Si accontentò allora di legno e di cera. Messer Pierino aveva in quei giorni altro per la testa, essendosi appassionato a un romanzo di un autore spagnolo del siglo de oro. Benché burbero e assai avaro, il padrone di casa non era una persona diffidente e lasciò lo sconosciuto pastrugnare con spatole, pennelli e scalpelli, totalmente indisturbato per l’intero ciclo lunare.

 

Giacché a Messer Pierino, che era un originale, non piaceva il computo del tempo che divideva l’anno in dodici frazioni. Quando la luna fu di nuovo calante, il latifondiero chiamò a sé il forestiero, che per tutto quel tempo aveva taciuto il proprio nome. Questi, avvolto nel mantello con il quale era giunto alla magione, accompagnò il possidente in una parte dello scantinato e mostrò orgoglioso la propria creatura. Messer Pierino ne fu affascinato. Lo scultore non si era limitato a riprodurre fedelmente un paio d’ali che, per finezza delle piume e armonia delle proporzioni, sarebbero ben calzate a un Arcangelo.

 

Le aveva bensì indossate alla figura, a grandezza naturale, di Messer Pierino stesso. Costui ne fu compiaciuto al punto tale da avvicinare la mano alla borsa di monete che teneva sempre con sé. Poi pensò a quanto pattuito. “Se mi mostro ora generoso, chissà cosa vorrà in futuro”, e si trattenne. “Se vorrete rimanere, sarete il benvenuto”, disse il possidente. “Per le vostre prossime opere ordinerò del marmo”, soggiunse, reputando che tal gesto fosse sufficiente a mostrare la propria gratitudine. “Ora però dobbiamo pensare a dove collocare la statua. Vi è un platano nel mio giardino. Le fornirò l’ombra necessaria per proteggere la cera dai raggi del sole”, cogitò ad alta voce il padrone di casa. “Non sarà necessario”, rispose lo sconosciuto, “Poiché io sono artista anche nelle scienze occulte e tale cera possiede il dono di non sciogliersi al sole”.

 

Messer Pierino fissò il forestiero con irritazione. “Ma che burla è mai questa? Parlate sul serio? E se tale è la vostra presunzione, siete anche capace di dar vita alle vostre opere? Mi è sembrato di capire che già abbiate compiuto una tale vanteria”. Lo sconosciuto confermò di possedere anche tale abilità e aggiunse. “Perché non indossate voi stesso le ali di cui ho dotato la vostra effige? Esse prenderanno vita e voi potrete attribuirmi il merito di saper volare”. Messer Pierino scoppiò in una fragorosa risata, ma non voleva prendere a male parole quell’uomo che, dopotutto, si era mostrato un valido scalpellino.

 

“Essia, saliamo in giardino e facciamo tale prova. Vi avverto però che, se farò la figura dell’allocco, dovrete rimanere mio ospite fino a quando il fluido vitale vi consentirà di impugnare uno scalpello”. L’artista sconosciuto acconsentì e i due portarono la scultura, che era in realtà piuttosto leggera, fino ai bordi della piscina. Confrontata all’opera di Lancillotto Scultore, produceva ben altro effetto. Lo sconosciuto staccò le ali dal busto e le addossò sulle spalle di Messer Pierino. “Hoc! Hoc! Hoc!”, disse lo straniero battendo le mani.

 

Il possidente sgranò gli occhi e si sentì librare nel cielo. Il suo risentimento verso l’anonimo scultore si placò subito e, ormai certo che non gli avesse mentito, si diresse verso il sole. “Quel che a Icaro non era riuscito, sarà ragione della mia fama”, pensò Messer Pierino mentre la sagoma della sua casa si faceva sempre più piccola.

 

Lo straniero non era stato però del tutto onesto e, sulle orme del mito greco, le ali si sciolsero. Messer Pierino precipitò nel vuoto, di nuovo incredulo e questa volta decisamente adirato. Una volta raggiunto il suolo, la sua testa, seguita da tutto il corpo, sprofondò nel suolo rilasciando nell’aria un fragoroso boato. Il possidente si ritrovò negli inferi, dove lo attese un demonio per mostrargli il girone degli avari.

 

Lo sconosciuto non vi diede molto peso e, con un nuovo incantesimo, animò il rimanente della propria scultura. La quale era un ritratto tanto fedele del defunto possidente, da non destare alcun sospetto. Né nei fittavoli, che si ritrovarono il giorno stesso sotto un contratto più conveniente, né nella servitù e nel resto degli abitanti del paese. Ai quali il novello Messer Pierino annunciò che avrebbero potuto attingere liberamente alle provvigioni della propria ricca cantina.

 

Solo Lancillotto Scultore, che, per mezzo di un paggio, si vide ripagare con oro sonante tutte le fatiche arretrate, coltivò qualche dubbio sul repentino cambiamento. Egli volle recarsi alla magione e parlare a quattr’occhi con colui che sosteneva di esser Messer Pierino. L’artista incontrò tuttavia lo sconosciuto viandante. “Messer Pierino ha fatto voto di povertà e si è avviato sul cammino di Santiago. Mi ha lasciato per voi questa pergamena, con la quale vi affida tutte le sue proprietà”, disse il forestiero con il tono di colui che vuol sgomberare la scena celermente.

 

“Mi avete promesso che per l’ospitalità sarei stato ricompensato”, rispose sarcastico Lancillotto Scultore. Il quale si affrettò a entrare in possesso dell’imponente maniero.

 

A me, che quel giorno era andato a Firenze, però nulla mi diedero.

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