by G. Zincone
Flectere si nequeo superos, acheronta movebo
Negli stessi luoghi in cui scrivo, sono quattro anni dal regalo parallelo del libro I Cinque Anelli e dalla stampa giapponese che ritrae l'ira guerriera di Miyamoto Musashi.
E, nelle medesime ore, dall'acquisto casuale di The Black Swan di N N Taleb.
Giorno fulcrale per le mie percezioni e per le mie intenzioni.
In realtà, l'esperienza di combattimento pratico associata al pensiero in contesti di instabilità rendono paralleli lo spadaccino/scrittore giapponese e l'economista-matematico-filosofo libanese, citato in recente intervista dal prof. Savona.
Per questa seconda puntata di riflessioni libere, ho messo in valigia solo testi di Ernst Juenger e su Ernst Juenger, questi ultimi di due filosofe italiane (Resta e Bonesio).
Insieme al piccolo libro di racconti Il Principe del Fuoco di Filip David, gioiello e lascito di un'amica meravigliosa che non è più.
E a Il Rosa Tiepolo di Calasso, perla suggeritami dalla prof. Bonesio.
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
Cadere nell'errore pur essendone stati messi in guardia.
La questione del porsi di fronte alla crisi (dell'Italia, dell'Europa, dell'Occidente) ha ragioni sfaccettate.
La complessità europea forzata in standard unitari, e la conseguente rinuncia alla resilienza (meglio: rinuncia alla antifragilità) intrinseca a un sistema complesso sono discendenti diretti di una visione prima macroeconomica e solo in secondo grado divenuta politica, proprio per l'assenza di un vero pensiero politico.
Macroeconomia di scuola. Cioè da scolari che per assenza di vastità intellettuale respingono a priori come eretiche le posizioni differenti.
Burocrazia strategica, ipersintetizza icastico CP.
Come scholae tomistiche avverse alla verifica nelle cose e, quindi alle alternative. Nonché al proseguire ininterrotto del Tempo, che in se' è mutamento.
Inoltre la parte italiana nel prof. Prodi seguiva nella prassi i principi religioso-politici di un formatore di politici, l'ex-politico fattosi sacerdote. Don Dossetti.
Pertanto in Europa e in Italia si trova di fronte a una postura demarcata da negazioni ideologiche.
Dogmi in negazione.
Sia macroeconomici sia, almeno in Italia, da radici religiose della politica.
Queste ultime si sono avvalorate sotto altri mantelli in una sorta di pensiero dominante che, senza curarsi delle proprie contraddizioni intrinseche, è diventato una massa ostile a ogni critica.
Il cui tratto unificante (da Chomsky a Boldrini sui diritti attraverso la teorizzazione della decrescita felice) è intessuto dalla negazione.
Un nuovo totalitarismo compatibile con le stesse democrazie di massa.
Come in dispute teologiche, si bollano i dissidenti e li si priva di parola (in Francia, Eric Zemmour, Michel Houellebecq et al.).
In Italia Meotti può ancora scrivere perché conta poco.
La negazione include anche il Tempo, l'Europa viene vista come onnipotente persistente e perciò sempre risarcente le sue colpe.
Come se un secolo di guerre civili non l'avesse ridotta a media potenza (usurato gigante economico dai piedi persistentemente di argilla politica).
Insomma: fare profitto onestamente, cogliere le occasioni di crescita, vedere il progresso economico e tecnologico come favorevole sono diventati ai più degli atti di insubordinazione.
E lo stare (cioè la postura) di fronte alla crisi diventa come lo spadaccino in duello che curi prina di tutto la perfezione del gesto: cioè un imminente morituro.
È palese la mia posizione, nel citare Juenger. Quella di anarca.
Il senso nella bibliografia allegata, altrimenti ci vorrebbero tomi e non sarei pari a chi ne ha scritto.
Riservo a me stesso la mia posizione, qui oggi sono un consigliere, quasi lo steward notturno Martin Venator.
Comunque sia, voglio mantenere la libertà (di anarca, più cara a me del mio istinto contro il rischio) e. devo ricordarmi chi sono, da dove arrivo e quali pezzi della mia scacchiera io non possa sacrificare impunemente.
La libertà da dettami religiosi e da quelli para-religiosi del pensiero obbligato. La cui forza adversus contradictiones è invece nella ritualità.
Perché la mia libertà possa rimanere estetica e non rituale.
Per esempio, dalla contiguità autobiografica con lo Hoover Institute nel mio 1989 di crolli di muri, al condividere l'opinione (adversus Hoover, cioè la allora russologa prof. Rice) che la super-insula americana guidata dai repubblicani (io resto GOP al midollo) non debba farsi dettare la linea politica dai democratici (prof. Luttwak, in intervista italiana aprile 2018).
Cioè che la super-insula e il suo dominio (Europa) debbano escogitare alleanze tematiche con la Russia anziché consumarsi in una lotta tra parenti.
Ovvero rinunciare alla inarrestabile omologazione dell'altro da se', alla rinuncia allo Stato Mondiale.
La mia crescita giovanile politica in una famiglia liberale (con la e) mi fa ricordare come mio padre, liberale di sinistra, rarissima avis, sostenesse l'abolizione della eredità.
Per altre ragioni (estetiche) ho da poco trovato il concetto come già espresso dal filosofo-politico Rathenau.
Ma il mio essere un liberale conservatore, che ben conosce le differenze storiche e teoriche tra il non intervento (presidenze repubblicane pre-Kennedy), l'intervento (Kennedy-Johnson), la gestione riluttante unita all'apertura al nuovo (Nixon-Kissinger, tra il disimpegno dal Viet Nam alla apertura alla Cina) e al conoscere la propria postura (Strauss, il GOP da Reagan al Tea Party) mi costringe alla posizione di rischio.
Voglio poter dire che su temi selezionati la Russia è un partner affidabile; che l'Europa a guida tedesca (con il mio viscerale amore verso la Germania) ripete gli errori concettuali di due sconfitte colossali.
Che si può essere alleati su temi e in luoghi senza perdere il senso di chi si è e di quale sia la nostra storia.
Che ci ha consentito di essere (ancora per un po') ricchi e liberi come noi siamo.
Esteticamente alti, in aggiunta.
Poiché "soltanto un principio estetico, non economico o meccanico può presiedere a questa sovrabbondanza".
E che tali (almeno per un po', fino alla fine dei nostri giorni) abbiamo il diritto di voler rimanere.
Nel testo:
Miyamoto Musashi, Il Libro dei Cinque Anelli
Nassim Nicholas Taleb, The Black Swan, Antifragility
Ernst Juenger, Eumeswil; Trattato del Ribelle; Al Muro del Tempo
Caterina Resta e Luisa Bonesio, Passaggi al Bosco
Carl Schmitt, Terra e Mare
Confucio, Dialoghi
Rathenau, Trattato di Rapallo e opus teorica
Ernst von Salomon, Io resto Prussiano..
Filip David, Il Principe del Fuoco (per Gordana Jeremic, sempre qui).
Al trittico del destino (von Salomon-Rathenau-Canetti) che manderò in mostra, alla memoria di Francesco Cossiga (il mancato invito a Wilflingen nel 2008 resta felix culpa) e a coloro che nomino e con cui ho avuto il dono di poter dialogare.