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Infinito in ogni direzione

by G. Vatinno

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INTRODUZIONE
Riprendo il titolo di un famoso libro del fisico americano Freeman J. Dyson (n. 1923), “Infinito in ogni direzione” , per sintetizzare efficacemente la conclusione, su basi cosmologiche , topologiche e logiche (evitare la regressio ad infinitum) di questo lavoro e cioè che l’ Universonello spazio e nel tempo (inteso nella sua dimensione generalizzata includente un vuoto quantico pre –esistente al Big – Bang), non può che essere infinito.
LO ZERO IN MATEMATICA
Il “nulla” in matematica è rappresentato formalmente dal numero “zero”. Questo simbolo è comunque “speciale” e pur facendo parte dell’insieme dei numeri detti “Naturali”, cioè della sequenza ( …,-N…-2, -1, 0, 1, 2,…N…) rappresenta qualcosa di diverso rispetto agli altri, rappresenta infatti l’ “assenza” del numero stesso . La storia della matematica, analizzando reperti e documenti antichissimi, ci ha portato a ritenere che lo zero non sia stato incluso nei primi sistemi di numerazione. Infatti, il primo sistema di numerazione accertato, quello sumero di circa 5.000 anni fa, inizialmente non aveva lo zero ed era quindi di tipo “non posizionale”; solo successivamente, fu introdotto lo zero per facilitare i conti e semplificare la scrittura di numeri grandi  passando ad un “sistema posizionale” (come  quello modrnamente utilizzato) in cui il valore di tale numero dipende, appunto, dalla posizione che occupa nella cifra stessa potendo rappresentare, ad esempio nel sistema decimale, in una cifra composta da tre numeri, le “centinaia”, le “decine” e le “unità”.
Per capire questo concetto consideriamo, ad esempio, la cifra “404”.
Indicando con il simbolo “^” l’operazione di elevazione a potenza, possiamo scrivere, facendone uno sviluppo in potenze della base 10:
404 = 4X10^2 + 0X10^1 + 4^10^0 = 400 + 0 + 4 
che è diverso da 
44 = 4X10^1 + 4X10^0 = 40 + 4 
Se non utilizzassimo lo zero-e quindi il sistema posizionale-,“404” e “44” sarebbero lo stesso numero.
I Sumeri utilizzavano sia la “base 10” che la “base 60” per esprimere le cifre (una traccia di questo è rimasta attualmente nel nostro conteggio dei 12 mesi e dei 360 gradi di un angolo giro).
Contrariamente ai Sumeri, i Greci ed i Romani non utilizzavano lozero e avevano sistemi non posizionali (oltretutto i numeri venivano indicati da combinazioni delle lettere dell’alfabeto) in cui rappresentare numeri grandi e fare i calcoli era difficilissimo.
Il sistema posizionale fu introdotto inEuropa, importato dal modello arabo, solo da Leonardo Pisano (1170 – 1240) meglio conosciuto come Leonardo Fibonacci, nel XII secolo.
L’INFINITO IN MATEMATICA
L’infinito, indicato con il simbolo ∞, ha avuto una storia completamente diversa e pur rappresentando, in un certo senso, l’“altra faccia della medaglia” nel suo rapporto diadico con lo zero , è stato a lungo osteggiato dai matematici che erano molto perplessi sul suo utilizzo, date le particolari proprietà completamente differenti rispetto agli altri “numeri”.
I greci se ne tennero, tranne rare eccezioni, sempre a distanza e lo bandirono, per quanto poterono, dai loro ragionamenti geometrici .
Aristotele (ca. 383 – 322 a. C.) ed Euclide (323 – 285 a.C.), ad esempio, ammettevono che esistesse un “infinito potenziale”, ma che non potesse esistere un “infinito attuale”.Archimede (287 – 212 a.C.), utilizza il concetto di infinito quando con il procedimento detto di esaustione calcola il valore di π, cioè il rapporto tra circonferenza  e diametro, approssimando il cerchio con poligoni inscritti e circoscritti di infiniti lati, ma mai utilizza esplicitamente il termine “infinito”. 
Per ritrovarlo, insieme agli “infinitesimi”, dobbiamo attendere la nascita del calcolo differenziale e integrale di Gottfried Leinbitz (1646 – 1716) e Newton (1642 -1727), nel XVII secolo; tuttavia, per dare formale cittadinanza nell’ambito della matematica rigorosa occorrerà il concetto di “limite” di Karl Weierstrass (1815 – 1897) e Augustin L. Cauchy (1789 – 1857) nel XIX secolo, mentre gli infinitesimi troveranno appartenenza alla rispettabilità matematica solo con l’“analisi non standard” di Abraham Robinson (1918 – 1974) negli anni ’60 del XX secolo che leggittimò, se così si può dire, l’utilizzo alquanto disinvolto che ne avevano fatto Newton e Leibnitz.
In ogni caso, nel XIX e XX secolo, l’infinito, nella sua forma in “atto” e non solo “potenziale” dei greci,è accettato nella matematica ed anzi si cerca di indagarne le proprietà. Ad esempio, tutti gli infiniti sono uguali? Già si sapeva che c’erano dei problemi con questi concetti comparativi tra classi infinite e sorgevano spesso paradossi inquesto campo.
Già il filosofo Giovanni Duns Scoto (1265 – 1308), nel XIII secolo ed anche Galileo Galilei (1564 -1642) nel XVII, avevano capito che quando si ha a che fare con l’infinito il “tutto” può esser euguale alla “parte”; ad esempio, l’insieme dei numeri naturali (il “tutto”) può essere messo incorrispondenza biunivoca con i quadrati dei numeri naturali (una “parte”)  ed entrambi sono infiniti.
Percapire cosa succedeva ci vollero però  i lavori di Bernard Bolzano (1741 – 1848), Julius Dedekind (1831 -1916) e soprattutto Georg Cantor (1845 – 1918). Quest’ultimo dimostrò che non tutti gli infiniti sono uguali ed anzi ognuno di essi ha una sua dimensione, detta “cardinalità” (tali numeri “cardinali”, insieme agli “ordinali”, sono chiamati transfiniti), che può esseredifferente e che indicò con la prima lettera dell’alfabeto ebraico, l’Aleph. Ad esempio i numeri naturali ed i razionali (rapporti tra naturali) sono della stessagrandezza di infinito indicata con il simbolo aleph_0,Aleph0, mentre i numeri reali, anch’essi infiniti, hanno una “dimensione” maggiore (e questo è intuitivo visto che contengono i Naturali) e la loro cardinalitàèaleph_1,Aleph1. Cantor poi giunse ad una ipotesi, detta “ipotesi del continuo”, in  cui cerca di dimostrare che tra Aleph0, la cardinalità dei numeri Interi e Razionali e 2^Aleph0, cioè la cardinalità dei numeri Reali, non c’erano altrecardinalità di infinito. 
In formula l’ ipotesi del continuo è:^{\aleph_0} = \aleph_1. \,

^{\aleph_0} = \aleph_1. \,

Oppure, l’ “ipotesi generalizzata” del continuo:

 

^{\aleph_\alpha} = \aleph_{\alpha+1}.

 

 Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, non vi riuscì mai e questo fu spiegato solo dal logico Kurt Gödel (1906 – 1978), neglianni ’30 del XX secolo e successivamente da Paul K

 

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