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Il metaverso evoluzione della realtà virtuale e di internet.

by Filippo Brunelli

Molti utenti whatsapp si saranno accorti che da qualche tempo il celebre programma di istant messaging non reca più la scritta “From Facebook” ma bensì “From Meta”. Le male lingue hanno insinuato che questo cambiamento è dovuto al recente scandalo - il secondo per gravità dopo quello di Cambridge Analytica – emerso dalle dichiarazioni della whistleblower Frances Haugen riguardo diverse pratiche dannose di cui Facebook era consapevole e, di conseguenza, ad un tentativo da parte della società di rilanciare la propria immagine uscita acciaccata dai “facebook pappers”.
Così, dopo mesi di anticipazioni, smentite e retroscena, è arrivato l’annuncio ufficiale: il “gruppo Facebook” cambierà nome e si chiamerà “Meta” che in greco vuol dire oltre e l’intenzione (a parole) di business model dall’azienda di Menlo Park  fin qui seguito è quella di andare “oltre” l’utilizzo di app  tra loro interconnesse come Facebook, Instagram, Messenger, Whatsapp, ecc.
Questo non vuol dire che le nostre app che tutti i giorni guardiamo e utilizziamo cambieranno nome, Facebook continuerà a chiamarsi Facebook, Whatsapp con il suo nome e così tutte le altre.
No, l’idea di Zuckerberg & Co. È quella di creare una nuova realtà virtuale, totalmente immersiva che ci dovrebbe accompagnare nella vita di tutti i giorni dal lavoro alla socialità.

Quella proposta da Zuckerberg non è una novità nel mondo dell’informatica né tanto meno dell’intrattenimento.
L’idea di una realtà immersiva si può far risalire alla metà del secolo scorso, quando un giovane cineasta, Mort Heiling vide a Brodway il film “This is Cinerama” proiettato su schermo gigante e ricurvo, che prende il nome appunto di Cinerama.
Da quell’esperienza Heiling ebbe l’idea di creare un dispositivo che permetteva a chi lo utilizzava di provare vere sensazioni e che chiamò “Sensorama”. Si trattava di una cabina in grado di ospitare una persona e che combinava effetti tridimensionali tramite un visore stereoscopico sul modello del View-Master 1, suono stereofonico, vibrazioni per mezzo di un manubrio che veniva afferrato e soffi di profumi. Quello che sensorama permetteva di fare era di creare nello spettatore un’esperienza il più realistica possibile di una corsa in un mercato dei fiori, su di una spiaggia e sulle strade di Brooklyn. Brevettato nel 1962 non ebbe successo tra le grandi case cinamatografiche e divenne famosa come macchina a gettoni nei luna park.
Qualche anno dopo (1965) un giovane ingegnere di nome Ivan Sutherlan ebbe l’idea che si potessero utilizzare i computer per il lavoro di progettazione; secondo Sutherlan un monitor collegato ad un computer offriva la possibilità di acquisire familiarità con concetti impossibili da realizzare nel mondo reale. Con quest’idea nel 1968, mentre era ancora professore all’università di Harvard, insieme ad alcuni suoi studenti tra i quali Bob Sproull, Quintin Foster, Danny Cohen creò il primo casco per la realtà virtuale.
Ma i mondi virtuali non devono solo essere percepiti ma c’è bisogno che si possa interagire con loro, così nel 1970 Myron Krueger, pioniere della computer art, interessandosi “agli ambienti sensibili controllati dal computer” coniò il termine realtà artificiale. Secondo Krueger la tastiera teneva lontani tanti utenti nell’accostarsi al computer per creare espressioni artistiche e così ideo “Videoplace”: un sistema  composto da una telecamera controllata da un computer e da un grande schermo. Quando un utente si metteva davanti alla telecamera la sua immagine veniva catturata dal computer, proiettata sullo schermo e combinata con le immagini ivi presenti. L’immagine della persona era rappresentata come una silhouette e interagiva con gli oggetti presenti sullo schermo spingendoli, afferrandoli, alzandoli, ecc.
Il progetto di Krueger morì perché non ottenne finanziamenti per il suo sviluppo mentre nello stesso periodo il Governo Federale degli Stati Uniti investiva ingenti somme nello sviluppo della tecnologia “Moviemap” del MIT che consentiva all’utente di muoversi attraverso una versione video di Aspen toccando semplicemente alcune parti dello schermo. Da lì, nel 1981, nacque il progetto “SuperCockpit” dell’aereonautica militare sotto la direzione di Tom Furnes: una finta cabina di pilotaggio che utilizzava alcuni computer e un casco virtuale per addestrare i piloti al combattimento.
Il SuperCockpit aveva però costi altissimi e la Nasa nel 1990 sviluppò “VIEW” (Virtual Interface Environment Workstation), il primo sistema a combinare grafica computerizzata, immagini video, riconoscimento vocale, un casco per la realtà virtuale ed un guanto tattile (inventato nel 1982 da Tom Zimmermann e Jaron Lainer quando lavoravano alla Atari).
L’idea della Nasa di utilizzare tecnologie già presenti e relativamente economiche per creare simulazioni realistiche per le future missioni spaziali fece capire che era possibile creare une realtà artificiale senza dover investire milioni di dollari.
Gli inizi degli anni ’90 videro un fiorire di idee per la realizzazione di realtà virtuale con progetti fai da te come gli schemi per poter collegare il “Power Golve”2 della mattel (creato per la piattaforma videoludica della Nintendo) ad un normale computer tramite porta parallela3 nonché  i relativi codici per programmarlo tramite linguaggio C, la nascita di diversi software a pagamento o freeware per la creazione di mondi ed in fine, la commercializzazione dei primi caschi di realtà immersiva a prezzi relativamente bassi ( qualche centinaia di migliaia di lire).
Qualche anno più tardi le prime webcam che venivano commercializzate spesso erano accompagnate da programmi che permettevano (come nel caso della webcam LG LPCU30) di interagire con immagini generate al computer come nel videoplace di Krueger.

Nella letteratura fantascientifica l’idea di mondi virtuali ha preso piede, soprattutto nella cultura Cyber Punk in romanzi come “Neuromante” o “Aidoru” di William Gibson dove il reale ed il virtuale si fondono in un’unica realtà soggettiva. Ed è proprio dalla cultura Cyber Punk che nasce il termine “Metaverso” utilizzato da Zuckerberg per la sua nuova creatura, in particolare dal romanzo “Snow Crash” del 1992 di Neal Stephenson. Nella cultura mainstream, l’idea di un mondo virtuale dove le persone interagiscono lo si trova in film come “Il 13° piano” tratto dal romanzo “Simulacron 3” di Galouye o la trilogia di “Matrix” (sempre ispirata dallo stesso romanzo).
Sulla scia di questi successi cinematografici, dell’interesse per la realtà virtuale, la massificazione di internet, nonché la nascita dei primi social network, nel 2003 nasce “Second Life”: un mondo virtuale dove gli utenti (chiamati anche residenti) accedono al mondo virtuale attraverso un loro avatar e dove possono muoversi liberamente, interagire con altri utenti e acquistare beni e servizi virtuali o reali pagando con tanto di moneta virtuale convertibile in dollari o euro.
Dopo un inizio un po’ difficile (le risorse chieste ai computer erano impegnative ed inoltre in Italia le connessioni internet erano ancora lente), Second Live ha raggiunto il massimo di utenti nel 2013 con un milione di abbonati per poi assestarsi tra gli 800.000 ed i 900.000. Negli ultimi anni diverse piattaforme sono nate, soprattutto a livello video ludico, per permettere agli utenti di interagire con mondi virtuali, come “Minecraft”, “Fortnite” o “The Sandbox” molto simile al metaverso di Meta.

Cosa fa allora pensare a “Meta” che il suo “Metaverso” sia diverso da tutte le realtà già presenti?
Innanzi tutto bisogna considerare che il metaverso farà largo delle tecnologie di realtà virtuale sviluppate negli ultimi anni come i visori sitle Hololens alle quali affiancherà hardware sviluppato autonomamente già in progettazione (ad esempio i guanti tattili). In aggiunta a ciò Facebook/Meta può vantare un vasto background di utenza e una vasta esperienza nel coinvolgere gli internauti a diventare sempre più dipendenti dai propri prodotti.  Un’altra freccia all’arco di Zuckerberg è l’idea di presentare il metaverso come un mondo alternativo che però interagirà con quello reale e non sarà solamente un luogo di svago o di fuga, ma una piattaforma per poter anche lavorare, creare riunioni virtuali, lezioni virtuali il tutto tramite un avatar.
Certo la concorrenza non mancherà visto che Microsoft, a pochi giorni dall’annuncio di Meta ha presentato il suo metaverso durante Ignite 2021 (la principale conferenza Microsoft dedicata al mondo Enterprise) al quale si potrà accedere tramite la piattaforma Microsoft Mesh per Teams e che farà uso di visori a realtà aumentata. Come per il metaverso di Menlo Park anche quello di Redmond punta soprattutto agli utenti che professionisti che lavorano e lavoreranno (si presume in un futuro prossimo sempre di più) in smartworking.

Ma abbiamo davvero bisogno di un metaverso?
A usufruire della nascita dei metaversi saranno principalmente le aziende produttrici di accessori per realtà aumentata o virtuale che ad oggi hanno avuto un mercato molto limitato visto il costo dell’hardware e i settori di applicazioni molto di nicchia, mentre per l’utente consumer, invece, il vantaggio sarà un graduale abbassamento del prezzo del sopracitato hardware.
Come tutte le tecnologie anche il metaverso può essere sia un bene che un male, dipende dagli usi che ne verranno fatti e dalla consapevolezza e maturità degli utenti.
Purtroppo abbiamo visto come, negli ultimi 15-20 anni internet, che è una tecnologia che permette di ampliare le proprie conoscenze e migliorare la vita dei singoli utenti, sia diventato monopolio di grandi multinazionali e ricettacolo di pseudo-verità e futili intrattenimenti, quando non anche per creare disinformazione (non ultimi i famosi Facebook pappers).
Il metaverso è la naturale evoluzione dell’internet che conosciamo, ci vorranno anni per vederlo sviluppato alla massima potenza, per adesso abbiamo solo aziende come Microsoft, Roblox, Epic Games, Tencent, Alibaba e ByteDance che stanno investendo ma quello che sarà non è ancora definito; saremo noi, come è accaduto con lo sviluppo di internet, che decideremo cosa nascerà, facendo scelte che a noi sembreranno insignificanti ma che le grandi multinazionali usano per fare soldi. Lo scandalo Facebook, dove venivano evidenziati i post che creavano il maggior numero di interazioni al solo scopo di creare traffico, indipendentemente dalla verità o meno dei post stessi, ne è un esempio. Quindi quando inizieremo ad usare il metaverso, stavolta, ricordiamoci fin dall’inizio che saremo noi a creare il nostro futuro mondo virutale. Sarà diverso il metaverso o diventerà l’ennesimo spazio dove si rifugeranno le persone per scappare alla realtà? A noi la scelta!

 

BIBLIOIGRAFIA
Linda Jacobson, “Realtà Virtuale con il personal Computer”, Apogeo, 1994.
Ron Wodaski e Donna Brown, “Realtà virtuale attualità e futuro”, Tecniche Nuove, 1995
https://www.nasa.gov/ames/spinoff/new_continent_of_ideas/
https://news.microsoft.com/it-it/2021/11/02/il-microsoft-cloud-protagonista-a-ignite-2021-metaverso-ai-e-iperconnettivita-in-un-mondo-ibrido/

 

1 View-Master è stato un sistema di visione stereoscopica inventato da William Gruber e commercializzato per prima dalla Sawyer's nel 1938. Il sistema comprende: un visore stereoscopico, dischetti montanti 7 coppie di diapositive stereo, proiettori, fotocamere (Personal e MKII) e altri dispositivi per la visione o la ripresa di immagini stereoscopiche.
2 Il Power Glove è un controller nato per il NES del 1989. Fu sviluppato dalla Mattel, ma il progetto si ispirò a un’invenzione di Tomm Zimmerman, che realizzò una periferica per l’interfacciamento a gesti manuali basata su un guanto cablato a fibre ottiche. L’idea di Zimmerman venne addirittura finanziata dalla NASA. La Mattel sviluppò questa periferica ma utilizzando tecnologie molto meno recenti, per rendere il Power Glove economico e più robusto.
3 L’interfaccia per collegare il power glove al PC tramite interfaccia parallela venne sviluppata da Mark Pflaging

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