Il web che verrà
Siamo alle soglie del web 3.0 che non è solo il metaverso, che del futuro web rappresenta una visione dall’impatto molto forte, ma il web che verrà, seppur ancora molto nebuloso oggi, sarà molto di più.
Fino al 1993 internet era utilizzato quasi esclusivamente da scienziati, università, centri di ricerca e militari, l’utilizzo e la consultazione era fatto quasi esclusivamente tramite riga di comando. Con “l’apertura” della rete a tutti quanti inizia quello che verrà definito web 1.0.
All’inizio il web non era altro che un’evoluzione delle vecchie BBS, dove gli utenti si collegavano a delle pagine, ospitate da server ed usufruivano dei contenuti in maniera passiva. Chi si collegava ad un sito poteva solo navigare, sfogliare un catalogo virtuale di prodotti, approfondire delle conoscenze o fare acquisti online.
Le possibilità di interazione con i siti è molto limitata e, solitamente, avveniva tramite e-mail, fax, telefono e pochissimi siti permettevano di uplodare contenuti personali tramite Common Gateway Interface1 sviluppati in C/C++ o Pearl che spesso erano complicate da sviluppare e costose.
Il flusso di comunicazione era quindi unidirezionale da parte del sito web aziendale o personale che dava informazioni a utenti passivi.
Da un punto di vista economico il modello che presenta il web 1.0 non discosta molto dai media comuni quali la televisione o i giornali: su una pagina o un sito internet vengono pubblicati banner pubblicitari a pagamento o tramite il metodo PPC (Pay Per Click).
Il web 2.0 si evolve dando l’opportunità agli utenti di interagire con i siti e diventando loro stessi creatori di contenuti. All’inizio sono solo piccoli blog personali e qualche social network come Myspace o Twitter, in particolare, è quest’ultimo che dà la prima innovazione permettendo ai suoi iscritti di pubblicare brevi messaggi, anche tramite SMS e la possibilità di “ri-twittare” questi ultimi quindi condividerli; un anno dopo la sua nascita, nel 2007, nascono con twitter gli hashtag che permettono di aggregare le notizie e così dalle bombe a Boston del 2013, alla guerra in Siria, chi è testimone di eventi importanti ha la possibilità di informare il resto del mondo.
Allo stesso modo i nascono i social network che permettono di creare reti di utenti che scambiano idee ed opinioni (naturale evoluzione dei newsgroup e dei forum del web 1.0) e creano la nascita di nuove aziende e giganti del web che raccolgono sui loro server i dati degli utenti oltre che i contenuti che vengono pubblicati. Siti come Youtube, Facebook, Instagram, “vivono” grazie ai contenuti che gli iscritti generano e non forniscono nulla all’infuori dell’infrastruttura necessaria molto semplice da utilizzare e molta pubblicità.
Ed ecco la prima grande differenza tra il web 1.0 ed il 2.0: le centralità. Esistono poche aziende che offrono servizi che le persone utilizzano e i dati ed i contenuti che gli utenti producono sono conservati sui server di poche aziende. Prima chi pubblicava qualcosa online, sia che fosse su un sito personale o su un blog era il proprietario dello spazio che utilizzava, in quanto veniva affittato da un provider e i dati personali così come i contenuti che vi erano pubblicati rimanevano di sua proprietà mentre con l’utilizzo di social o di siti che permettono di condividere idee, foto e quant’altro possibile l’utente “cede” i propri dati personali così come i contenuti che genera ad un’azienda terza che ne può usufruire liberamente.
Con il web 2.0 viene generato un nuovo tipo di interconnessione tra utenti e servizi che genera una convergenza digitale dove poche interfacce tendono ad aggregare più servizi: tramite l’account social possiamo iscriverci a servizi di streaming o di mail, sui social possiamo leggere le ultime notizie di un giornale senza dover andare sul sito del medesimo, tramite i social possiamo mandare un messaggio ad un amico o più amici ed organizzare uscite o riunioni. Tutti questi servizi sono accentrati in un unico posto, sia fisico che virtuale, di proprietà di poche Holding internazionali.
Il modello economico del web 2.0 è anch’esso un’evoluzione del precedente, non solamente si basa sulla pubblicità che viene presentata agli utenti, ma anche tramite la condivisione dei dati personali che questi memorizzano sui server dei quali sono fruitori. Ed ecco perché c’è la necessità di centralizzare i dati raccolti.
Questo non vuol dire che l’attuale versione del web sia completamente negativa. Basti pensare cosa sarebbe successo all’economia mondiale durante la pandemia di Covid-19 se non vi fosse stata la possibilità di fare Smart Working elastico e flessibile, reso possibile proprio grazie alle innovazioni tecniche scaturite a seguito dell’evolversi del web, come ad esempio l’utilizzo di tecniche WebRTC2 o di file Sharing3.
Il web 3.0 rappresenterà, si spera, un’evoluzione dell’attuale concetto di web eliminando per prima cosa la centralità ed in questo modo garantire una miglior privacy e sicurezza dei dati. Come per il web 2.0 quando nacque anche per il 3.0 non sono ancora definite delle regole e delle linee guida tanto che si parla ancora di “possibili” evoluzioni e non di certezze, anche se possiamo descrivere quello che probabilmente sarà.
I social rimarranno e si evolveranno dando la possibilità di utilizzare realtà aumentata o virtuale (come nel caso del Metaverso) e nasceranno sempre più spazi virtuali 3D simili a “Second Life”.
L’aumento di contenuti generati dagli utenti trasformerà il web in un enorme Database dove per poter accedere in maniera costruttiva alle informazioni si farà sempre maggior uso del web semantico4 e dell’intelligenza artificiale che imparerà a conoscerci e conoscere i nostri gusti e abitudini. Per poter utilizzare al meglio l’intelligenza artificiale sul web e garantire nel contempo la privacy bisogna però che venga decentralizzata (oggi Alexa, Google, Siri, Cortana, ecc. accedono via web ai server centrali delle rispettive aziende per poter funzionare) e dovrà essere controllata da una grande rete aperta, riducendo i rischi di monopolio.
Per poter attuare un web più decentrato si utilizzerà sicuramente la tecnologia blockchain che, per sua natura, si presenta come un’ architettura decentralizzata. La stessa tecnologia che sta alla base delle criptovalute e che, utilizzata per la sicurezza del passaggio dati nelle filiere, sarà la base dalla quale partirà il web 3.0. La blockchain è una struttura dati condivisa e immutabile, assimilabile a un database distribuito, gestito da una rete di nodi ognuno dei quali ne possiede una copia privata. Tutto questo permetterà di eliminare i webserver centralizzati in quanto i singoli utenti diventano loro stessi dei “miniserver”.
Come l’internet dell’inizio questo metodo garantirà che se anche un nodo va in crash o il server centrale (come ad esempio quello che gestisce Whatsapp, o Youtube o Facebook) il nostro sistema continuerà a funzionare ed i dati continueranno ad essere disponibili tra gli utenti. Questo permetterà anche un passaggio della governance del servizio dove i singoli utenti avranno maggior potere rispetto all’azienda principale; anche le informazioni saranno rivoluzionate e verranno riunite da diverse fonti tramite tecnologie tipo XML, WSDL o simili in un unico database che non esiste realmente ma è semplicemente un raccoglitore, ma al quale si potrà attingere come fosse un normale database.
Il cambiamento non sarà veloce ma assisteremo ad una transizione più “dolce” rispetto a quella dal web 1.0 al 2.0. Per molto tempo i due differenti web (2.0 e 3.0) convivranno ma il cambiamento, anche se lento sarà molto più profondo perché non sarà tanto un cambiamento di come “vediamo” il web ma riguarderà i suoi più profondi paradigmi. Quando arriveranno il metaverso e i su suoi simili saranno ancora sistemi che si basano sul concetto del web 2.0 dove tutto è ancora centralizzato ma dietro a questi compariranno sempre più servizi che si basano su strutture decentralizzate e, per chi fosse incuriosito, segnalo due esempi già esistenti: dtube (https://d.tube/) e OpenBazaar (https://github.com/OpenBazaar/openbazaar-desktop/releases) rispettivamente l’equivalente di Youtube ed e-Bay ma… decentralizzati.
1La Common Gateway Interface (CGI) è un’interfaccia di server web che consente lo scambio di dati standardizzato tra applicazioni esterne e server. Appartiene alle prime tecnologie di interfaccia di Internet. Le CGI sono dei programmi residenti sul server che ricevono in input un “GET” dal client che viene elaborato e come risultato generano una pagina internet standard.
2Con WebRTC si possono aggiungere funzionalità di comunicazione in tempo reale alle applicazioni web, che altrimenti impossibile, a causa della tecnologia di comunicazione utilizzata sul protocollo internet. WebRTC si basa su uno standard aperto. Supporta i dati video, vocali e generici nello scambio di dati, consentendo agli sviluppatori di creare soluzioni efficaci per voce e video. La tecnologia è disponibile su tutti i browser moderni e sui client nativi per tutte le principali piattaforme. Le tecnologie su cui si basa WebRTC vengono implementate come standard web aperti e disponibili come normali API JavaScript in tutti i principali browser. Per i client nativi, come le applicazioni Android e iOS è disponibile una libreria che fornisce la stessa funzionalità. Il progetto WebRTC è open source ed è supportato da Apple, Google, Microsoft, Mozilla e molti altri.
3 Il termine file sharing si riferisce ad un apposito sistema che consente agli utenti di condividere file e documenti sul web o all’interno della medesima rete. Grazie ai programmi e siti di file sharing è infatti possibile trasferire dei documenti da un device all’altro.
4 Nel Web semantico ad ogni documento (un file, un’immagine, un test, etc.) sono associate informazioni e metadati che, fornendo un contesto semantico, ne rendono più facile l’interrogazione e l’interpretazione automatica da parte di un motore di ricerca. L’idea viene ipotizzata alla fine degli anni ’90 da Tim Berners-Lee dove ipotizzava un futuro dove “..il commercio, la burocrazia e le nostre stesse vite quotidiane saranno gestite da macchine che parlano con altre macchine” .
BIBLIOGRAFIA:
Berners-Lee, M. Fischetti, “Weaving the Web“, 1999
Dev, maggio 2006, “Meta Content Frameworks e Rsource Decripti on Frameworks”, pp.61-66